Referendum, autonomia e i rischi per il Paese

È stato depositato in Cassazione il quesito referendario per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata da parte di un campo molto largo composto dai partiti di opposizione, compresa Italia Viva, e da Cgil, Uil, socialisti, Anpi, Wwf, Arci.

Anche le Regioni governate dal centrosinistra (Campania, Toscana, Puglia, Emilia-Romagna e Sardegna) si stanno mobilitando per promuovere a loro volta il referendum e eventuali ricorsi alla Corte Costituzionale.

Soltanto il leader di Azione, Carlo Calenda, non ha partecipato per vari motivi. Innanzi tutto, perché ritiene che sarà difficile raggiungere il quorum richiesto. Infatti, il referendum è approvato se partecipa alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (art. 75 Cost.). Ma va osservato che tredici anni fa il referendum sull’acqua riuscì a superare il quorum.

Più serio sembra il dubbio sull’ammissibilità del referendum che potrebbe essere negata dalla Corte Costituzionale, dato che la riforma è collegata alla legge di bilancio e le leggi di bilancio non sono soggette a referendum abrogativo (art. 75 Cost.). Però si potrebbe rilevare la strumentalità e quindi l’irrilevanza di tale collegamento da considerarsi artificiosamente precostituito ai fini della pronuncia di inammissibilità.

Ma soprattutto occorre evidenziare i rischi di una riforma come l’autonomia differenziata, che secondo Stefano Fassina danneggerebbe oltre le Regioni del Sud anche quelle del Nord, perché la competizione tra grandi nazioni in Europa escluderebbe i sistemi regionali, rallentando la stessa economia delle aree più sviluppate d’Italia. Il federalismo solidale poi, sul quale si fondava la riforma costituzionale del 2001 varata dal centrosinistra è cosa ben diversa quella che ha ispirato la legge Calderoli, tanto vero che Berlusconi, Fini e Bossi votarono allora contro.

Si trattava di attuare un federalismo solidale che avrebbe dovuto favorire il superamento delle disuguaglianze tra i cittadini di diverse Regioni in base all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale richiesti dall’art. 2 della Costituzione, che rispettava il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge ((art. 3 Cost.), che riconosceva e promuoveva le autonomie locali, dopo aver affermato però che la Repubblica è una e indivisibile (art.5 Cost.). Invece, quella che si vuole attuare con la riforma è una secessione mascherata basata sull’egoismo delle Regioni più ricche e industrializzate, piuttosto che un federalismo solidale che tenga conto della situazione di povertà e di arretratezza di altre Regioni.

La riforma consente alle Regioni di ottenere una particolare autonomia nelle materie (23) sulle quali esiste legislazione concorrente tra Stato e Regioni. A chi non la richiede però deve essere garantito un finanziamento dello Stato idoneo ad erogare servizi e beni pubblici adeguati ad un livello di prestazioni essenziali (Lep) attraverso un fondo perequativo che compensi la differenza tra fabbisogno e capacità fiscale delle Regioni. Ma la realtà è che i principi su cui si fonda la riforma a invarianza dei saldi di spesa pubblica sono difficilmente attuabili, mentre determinare il finanziamento dei Lep non è facile e stabilire il fabbisogno di ogni amministrazione locale sulla base delle risorse disponibili è quasi impossibile. Si tenga presente anche che il famoso fondo perequativo è privo di copertura.

La riforma è perciò contestata anche dalle forze sociali, come i tre sindacati nazionali e la Confindustria. Sono contrarie inoltre la Banca d’Italia e l’Unione europea. Perplessità vengono sollevate anche dai Governatori di Forza Italia Occhiuto e Bardi. Sono state inoltre avanzati dubbi seri sulla tenuta fiscale come evidenziato dal “Country report 2023” della Commissione europea, secondo cui il pacchetto autonomista metterebbe a repentaglio la capacità dell’Esecutivo di tenere sotto controllo la spesa pubblica.

Ma allora perché si insiste su una riforma che fa male sia al Nord che al Sud e rischia di spaccare il Paese?

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