Referendum autonomia: il primo sì in Cassazione

Il 12 dicembre 2024 l’Ufficio Centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta di referendum relativa all’abrogazione totale della legge sull’autonomia regionale differenziata, che era stata collegata alla legge di bilancio. Ma, come giustamente rilevato dai sostenitori del referendum e accolto dalla Corte, tale legame era soltanto strumentale. Ciò era previsto in quanto la Corte Costituzionale aveva in precedenza già ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata. La Cassazione non ha invece ammesso il quesito referendario relativo ad alcune parti della stessa legge già dichiarate incostituzionali dalla Consulta.

Oltre all’autonomia la Cassazione ha dichiarato ammissibili anche altri cinque referendum riguardanti il dimezzamento da dieci a cinque anni del tempo per ottenere la cittadinanza, l’abolizione di alcune norme sul Jobs act, introdotto dal Governo Renzi nel 2016 (contratto di lavoro a tutele crescenti, disciplina dei licenziamenti illegittimi, piccole imprese nel caso di licenziamenti e indennità, apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi), e la sicurezza sul lavoro relativa alla materia degli appalti e delle responsabilità dei committenti da estendere anche all’impresa appaltante.

Naturalmente ora si attende il passaggio finale più importante che arriverà in questo mese, quando la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sulla legittimità dei quesiti referendari ammessi dalla Cassazione. Si prevede che le motivazioni della sentenza dovrebbero essere depositate entro il 10 febbraio prossimo. Nel frattempo l’opposizione esulta e con la leader del Pd Elly Schlein chiede che il Governo “abroghi il testo-strafalcione” e con Giuseppe Conte, leader di M5S, che “fermi lo spacca Italia”. Ma l’autore della legge sull’autonomia, Roberto Calderoli, sostiene che la Cassazione dichiarando ammissibile il referendum abbia confermato che “la legge c’è ed è immediatamente applicabile”.

Ma ciò non è possibile in mancanza di parti fondamentali della legge dichiarate incostituzionali perché in contrasto con l’art. art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia), il quale deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiano, che riconosce i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.

Il Parlamento dovrà, quindi, colmare i vuoti legislativi prodotti dalla sentenza dalla Corte Costituzionale applicando i principi richiamati dalla stessa. Si prevede un lavoro lungo e complesso, anche perché i partiti della maggioranza sono divisi e sull’Autonomia incombe l’incognita referendum. Nel frattempo premono due riforme costituzionali, una sul Premierato e l’altra sulla Giustizia. La prima ha avuto il primo sì dal Senato nel novembre 2023 ed è ferma alla Camera per volontà del Governo. La seconda è in discussione alla Camera. Per entrambe il percorso è lungo dovendo essere approvate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi. Esse sono anche soggette a referendum se non sono approvate nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA