Quando il governo fa abuso di potere

Quando il governo abusa del suo potere

L’articolo 70 della Costituzione prevede che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere. Il Parlamento dovrebbe dunque essere il luogo in cui i rappresentanti eletti dal popolo sovrano liberamente si confrontano e insieme valutano e decidono. Se, invece, non sono previsti interventi, proposte modifiche e discussioni, il Parlamento diventa un’istituzione vuota che non ha più alcun senso di operare e, al limite, di esistere. Le statistiche dimostrano che ormai da molti anni le leggi sono sempre più spesso scritte e fatte approvare dal Governo di turno che, in tal modo, finisce con l’espropriare il Parlamento della sua principale prerogativa.

Di fatto in Italia non siamo più in una repubblica parlamentare, ma in regime governativo. In questo contesto ciò che più preoccupa è che quando un organo costituzionale si arroga un potere che appartiene ad altri ci si trova di fronte a un vero e proprio abuso di potere. Ancora peggio, quando il potere esecutivo pone un veto a quello legislativo viene meno quella divisione dei poteri elogiata in un lontanissimo passato da Aristotele ed evocata più di recente da Montesquieu. Tutto ciò sta accadendo in Italia in un pericoloso silenzio delle forze politiche, economiche e sociali, queste ultime rassegnate ormai al punto da venir meno, in larga misura, a un fondamentale diritto civile qual è quello del voto.

Di recente, poi, siamo stati posti di fronte a una situazione che va ancora più al di là di quelle già sconfortanti vissute in passato. In occasione della prima discussione sulla legge di bilancio - che si sta facendo sempre più complessa per le difficoltà dei nostri conti pubblici e per le posizioni estemporanee assunte da vari esponenti della coalizione di governo - la premier Meloni ha indirizzato un assai discutibile dictat ai parlamentari facenti parte della maggioranza: “No ad emendamenti non autorizzati”. Al riguardo, l’art. 81 della Costituzione prevede che: “Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consultivo presentato dal governo”.

E ancora: “Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurarne l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna camera”.

La frase della nostra Premier è stata riportata dalla maggior parte della cronaca politica con una sorprendente mansuetudine che tradisce la più volte sperimentata acquiescenza al potere di una certa stampa, sempre più lontana dal proprio ruolo vocazionale di osservatore critico delle vicende politiche solo ed esclusivamente nell’interesse dei lettori. Per costoro, evidentemente, non ha più alcuna rilevanza quanto stabilito dall’art. 67 della Costituzione che recita: “Ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Piero Calamandrei (189-1956) che fu tra i fondatori della Costituzione repubblicana, partecipando a Milano nel 1955 a un ciclo di conferenze rivolte agli studenti universitari ebbe a dire: “La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”. Aggiunse: “Il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni delle minoranze”.

Non avrebbe certo potuto immaginare che nel 2024 un Presidente del Consiglio, agevolato nella propria azione da una sottomessa remissività dei diretti interessati, decretasse che nemmeno le ragioni dei parlamentari della propria maggioranza potessero essere discusse.

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