Politici impreparati il problema è di tutti

È opinione ormai consolidata che a Giorgia Meloni, premier alla quale si riconoscono capacità politiche, faccia da contrasto un personale politico, ad essere comprensivi scarso, ad essere impietosi inadeguato.

L’opposizione ha buon gioco nell’infierire sul deficit di classe dirigente di Fratelli d’Italia. Non potrebbe essere altrimenti. Del resto, cosa c’è da aspettarsi – lascia intendere l’opposizione – da un partito figlio di un’eredità neofascista? La sinistra non gli fa nemmeno lo sconto di essere un ceto nuovo a responsabilità di governo. Soprattutto si guarda bene dal ricordare che il deficit di classe dirigente non è un’esclusiva del partito della premier. È un tratto endemico della Seconda Repubblica.

Prima i Lumbard, salutati come “barbari” capaci spesso solo di parlare in dialetto; poi gli azzurri di Forza Italia, etichettati come venditori di Fininvest promossi sul campo, preparati al nuovo lavoro da una sola convention col conforto di un kit sulle mansioni del politico; da ultimo, gli improvvisati dei Cinque Stelle, arrivati in Parlamento in forza di poche decine di voti: in questi ultimi trent’anni è stata tutta un’infilata di politici improvvisati, pescati a casaccio dal mucchio, senza badare né al merito né alla competenza.

È pur vero – va detto - che al cambio di “regime” è normale segua il cambio di personale politico, con tutti i problemi di adattamento che comporta, anche perché in genere i nuovi arrivati sono giovani. Si è verificato nel 1861 alla nascita dell’Italia unita, poi nel 1922 al passaggio dall’età liberale alla dittatura fascista, infine alla fondazione della Repubblica.

Detto questo, bisogna riconoscere che la classe politica giunta alla guida dell’Italia in questi ultimi trent’anni si distingue dalle precedenti per una spiccata impreparazione, talora persino per autentica dabbenaggine. Come meravigliarsi che sia mal giudicata?

In passato, il cambio di ceto politico è riuscito meglio. La Destra liberale giunta alla guida dell’Italia nel 1861 mostrò qualità e uno spirito di servizio che la fece diventare un modello da imitare. Gli stessi fascisti, alla prova della costruzione dello Stato totalitario, ebbero l’avvertenza di pescare nella vecchia classe dirigente personalità di indubbia competenza. Non parliamo poi dei nostri padri costituenti. Hanno impiantato dal nulla una democrazia che gli italiani avevano solo assaporato prima della dittatura. Si sono misurati poi con i problemi epocali della costruzione di una società industriale di massa. Siamo a una distanza siderale, con le dovute eccezioni, dai politici di oggi.

È invalso nei media l’avvaloramento di un’unica causa dell’attuale decadimento della politica. Sarebbe da attribuire a un solo dato: il fortuito accesso di sprovveduti a posizioni di responsabilità. Le ragioni, invero, sono più complesse.

Ne richiamiamo due, a nostro avviso le più importanti. La prima: la caduta verticale di interesse per la politica, ormai degradata nel giudizio degli italiani ad affare privato degli eletti: altro che nobile attività di servizio per il bene comune! La seconda: l’inaridimento dei partiti. Un tempo - nei gloriosi anni della ricostruzione – erano la fucina di militanti, dirigenti, amministratori. Oggi - ci si consenta l’eccesso irriguardoso – sono diventati per lo più porte girevoli per l’accesso a cariche pubbliche.

All’opinione pubblica piace rifugiarsi nell’antipolitica, con il seguito del disprezzo dei politici. Pensa con ciò di autoassolversi. Sbaglia. Non ci si può lavare le mani dei problemi della polis. Dalla qualità della cosa pubblica dipende la condizione, talora anche il destino, di tutti noi, semplici cittadini.

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