Ogni giorno che ci porta un po’ più vicini alla data delle elezioni europee dell’8-9 giugno, segna una tacca nel livello di tossicità della vita politica.
E questo per effetto non solo del confronto molto aspro tra gli schieramenti, ma anche per gli scandali che stanno scoppiando a catena, uno dietro l’altro, in giro per l’Italia, colpendo sia il centrosinistra che il centrodestra, accendendo i riflettori soprattutto su amministratori locali - magari con ambizioni nazionali - che hanno passato la loro esistenza politica traslocando con indifferenza da un partito all’altro. Prendiamo l’ultimo incappato nelle maglie della magistratura e degli inquirenti: si tratta del vicepresidente della Regione Sicilia, l’assessore all’Agricoltura Luca Sammartino, gran raccoglitore di voti, attualmente sta nella giunta Schifani in quanto leghista ma i reati che gli vengono contestati risalgono al 2019 quando militava nel Pd, lato Renzi, che poi avrebbe seguito per un breve passaggio in Italia Viva prima di spiccare il volo verso il Carroccio.
Senza dimenticare che Sammartino aveva esordito nell’Udc. L’inchiesta che lo riguarda sta scoperchiando una rete di compravendita di voti e di favori nei Comuni del Catanese che coinvolge pericolose e potenti famiglie mafiose, in questo caso quella di Francesco Santapaola, i cui voti sarebbero stati essenziali per far eleggere un sindaco del posto.
Naturalmente nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva ma se inevitabilmente oggi Sammartino imbarazza il partito di Salvini, c’è da ricordare che a Palermo qualche giorno fa hanno arrestato uno di Fratelli d’Italia, Mimmo Russo, e altri suoi amici, perlopiù amministratori, sempre per questioni di voto di scambio e sempre con l’ombra della mafia nelle inchieste.Ma il trasformismo non è solo siciliano: il pasticcio pugliese che coinvolge sia il Comune di Bari (che potrebbe essere sciolto) retto finora da un sindaco stimato come Antonio Decaro, sia la Regione governata da Michele Emiliano (un tempo magistrato antimafia) vede una impressionante girandola di accuse per reati, favoritismi, corruzione, clientelismo che stanno flagellando il Pd in gran parte per responsabilità di esponenti politici che sono passati da un partito all’altro, da destra a sinistra, con la stessa disinvoltura con cui ci si cambia di abito.
Casi non dissimili a quelli deflagrati più a Nord, in Piemonte, dove ad essere terremotata è la Regione e, anche in questo caso, il Pd il cui capogruppo è stato raggiunto da un’inchiesta che ha messo in luce un altro vasto reticolo di rapporti di potere. Anche qui c’è di mezzo il sospetto di rapporti con la ‘ndrangheta; anche qui ci sono dei tipi che sono stati con gli uni e con gli altri a cercare voti con metodi a dir poco discutibili.
Questi scoppi, verificandosi in entrambi i campi avversi, rendono futile il reciproco scambio di accuse tra il centrodestra e il centrosinistra poiché entrambi hanno uomini loro, perolpiù trasformisti, coinvolti o addirittura arrestati. Ma gli stessi fatti nel contempo mettono in luce conseguenze politiche diverse tra una parta e l’altra.
Nel centrosinistra gli scandali stanno mandando in pezzi la fragile tela di alleanze tra Pd e M5S che Elly Schlein sta volenterosamente cercando di costruire ma che ogni giorno che passa Giuseppe Conte dà tutta l’impressione di voler smontare sventolando la bandiera della moralità: lo si vede in Puglia e in Piemonte.
Viceversa il centrodestra, per quanto possa essere colpito sotto il profilo elettorale dalla forzata uscita di scena di suoi esponenti locali molto seguiti (come Sammartino in Sicilia) riesce, come da tradizione, a mantenersi unito. E questo, se i fuochi d’artificio continueranno da qui a giugno, potrebbe in qualche modo fare la differenza.
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