Adesso la domanda è soprattutto una: come farà Giorgia Meloni a cambiare credibilmente linea sulla guerra in Ucraina e ad allinearsi al nuovo corso americano? Domanda insidiosa e risposta difficile ma non impossibile. Difficile perché Giorgia Meloni ha acquistato credibilità politica, al suo esordio sulla scena internazionale lei che viene da una storia di destra marginale, proprio grazie al perfetto allineamento che ha operato il suo governo sulla guerra in Ucraina. Nonostante l’alleato Salvini scalpitasse e borbottasse e facesse sapere a tutti il proprio dissenso (anche se poi in aula i leghisti hanno sempre votato giusto, disciplinatamente), lei non ha esitato un istante a seguire le indicazioni della Casa Bianca e della Nato. Quindi pieno sostegno a Kiev, condanna di Putin, armi e aiuti di ogni tipo all’Ucraina. Era il tempo in cui la premier italiana veniva fotografata mentre Biden le stampava un bacio paterno sulla fronte. Questa è stata la legittimazione verso Oltreoceano mentre a Bruxelles la premier Meloni seguiva una linea parallela che passava essenzialmente sulla tenuta dei conti pubblici (un sovranismo a bassa intensità, lo potremmo definire).
Poi certo, quando Biden si è ritirato ed è subentrata la ben più incerta Kamala Harris abbiamo visto degli impercettibili movimenti all’indietro di Meloni, come quando qualche settimana fa ha disertato a New York l’evento organizzato dalla presidenza Usa in onore di Zelensky in occasione dell’assemblea dell’Onu: ha preferito anticipare il ritorno in Italia. In precedenza, in una circostanza simile era andata a mangiare una pizza con la figlioletta che l’aveva accompagnata in America. Segnali, piccoli e grandi. Grande era sicuramente l’accoglienza riservata al profeta trumpiano, Elon Musk ricevuto a palazzo Chigi neanche fosse un capo di Stato: si trattava di un investimento a futura memoria che sicuramente risulterà assai azzeccato.
È vero che ora Salvini rivendica a se stesso la primogenitura come fedelissimo fan italiano di The Donald, «e lo ero anche quando qualcuno nel centrodestra non ci credeva», dice con pesante allusione proprio all’equilibrismo della presidente del Consiglio mentre mostra quella vecchia voto di lui raggiante ed emozionato accanto al Grande Capo Bianco. Forse però Salvini nel suo entusiasmo sottovaluta l’inveterato pragmatismo americano: chi comanda in Italia? La leader del primo partito e del governo, Giorgia Meloni. Quindi sarà lei l’interlocutore, con buona pace del ministro dei Trasporti, almeno fino a quando sarà seduta a palazzo Chigi. E infatti i meloniani già dicono che la premier farà da ponte tra la Casa Bianca e la Commissione europea, che presto i fatti le costruiranno un ruolo molto particolare.
Certo, quando Trump metterà in atto le sue pericolose idee protezionistiche in materia di commercio estero, e per noi saranno dolori, non sarà facile neanche per la premier divincolarsi. Vedremo come farà. Antonio Tajani una formula diplomatica l’ha già trovata: giura che «Trump ha simpatia per l’Italia», chissà se questa simpatia ci eviterà i dazi sul Parmigiano Reggiano, il Prosecco e il prosciutto di Parma, tanto per fare un esempio.
Se a destra si cerca il modo migliore per presentarsi a corte col vestito giusto, a sinistra si piange per l’occasione perduta. Kamala Harris (anche se ha confessato che sparerebbe a un ladro e arresterebbe gli immigrati illegali) sarebbe stata la presidente perfetta per Elly Schlein: donna, multirazziale, con posizioni qua e là radical sui diritti civili, ecc. Sarebbe stato il simbolo della rivolta contro il trumpiano suprematismo bianco, il razzismo autoritario orbaniano, il neofascismo tedesco e austriaco. Il destino non ha voluto regalare alla sinistra italiana un sostegno tanto potente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA