Più lavoro e natalità per salvare le pensioni

L’Inps ha pubblicato una nota in cui sostiene che «non emergono problemi di sostenibilità» del sistema pensionistico «alla luce dei dati provenienti dal mondo del lavoro».

Una precisazione arrivata dopo che era stato presentato il XXIII° Rapporto annuale dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, con una coda di polemiche più o meno centrate su alcuni dei suoi contenuti. A far discutere, in particolare, era stato il seguente passaggio: «Le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata». Il Rapporto e la precisazione, se si lasciano da parte le strumentalizzazioni politiche di corto respiro, non sembrano in contraddizione.

Attualmente, infatti, dopo la riforma Fornero del 2011, il sistema pensionistico si mostra solido. Da una parte l’età legale di pensionamento fra le più elevate in Europa, 67 anni, dall’altra i rassicuranti dati provenienti dal mercato del lavoro, con il numero record di «26,6 milioni di assicurati, con ulteriori potenziali di crescita già riscontrati nei primi sei mesi del 2024». Occorre tuttavia tenere presente che l’età media effettiva di pensionamento nel 2023 è stata più bassa di quella legale, attestandosi a 64,6 anni, frutto della media tra pensionamenti anticipati (61,5 anni) e pensionamenti di vecchiaia (67,5).

Si tratta di un livello più alto della media Ue, pari a 63,6 anni, che adesso però pesa sui conti dell’Inps (e quindi dello Stato), assieme alla “generosità” del sistema, che può essere misurata in termini di tasso di sostituzione delle pensioni, ovvero di rapporto tra pensione e ultimo stipendio percepito. Nel nostro Paese, complice la gradualità del passaggio dal vecchio sistema di calcolo retributivo a quello contributivo, tale rapporto è al 59%, 14 punti sopra la media europea.

Una situazione simile nel breve-medio periodo non mette al riparo, quando spostiamo l’attenzione più in là negli anni, da una sfida che riguarda tutto l’Occidente - sottolinea l’Inps - e cioè il mix di «invecchiamento della popolazione, inverno demografico, trasformazioni strutturali del mercato del lavoro». Non a caso, fa sapere l’Ocse, l’età pensionabile è destinata ad aumentare nel 60% dei Paesi membri dell’organizzazione degli Stati maggiormente industrializzati. Terminato l’impatto negativo temporaneo della pandemia sull’aspettativa di vita, per esempio, anche Repubblica Slovacca e Svezia hanno introdotto meccanismi di adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita (crescente), unendosi così a Italia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Olanda e Portogallo. Se questa è la tendenza nel mondo occidentale e non solo, nelle prossime settimane di dibattito sulla legge di bilancio, sarebbe saggio non disperdere energie nel creare nuove «scorciatoie» pensionistiche.

Sempre il Rapporto dell’Inps segnala piuttosto come l’unico modo di rafforzare le fondamenta del sistema previdenziale consista nell’aumentare la base sulla quale esso poggia, frenando l’emigrazione giovanile, riducendo il numero di giovani Neet, incentivando l’ingresso di più donne nel mercato del lavoro. In che modo? Per esempio mettendo fine allo scandalo, questo sì denunciato dall’Inps, per cui nell’anno della nascita di un figlio il 18% delle donne lavoratrici rischia il proprio posto.

Come ha detto questa estate con linguaggio franco il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, «nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale». Più lavoro e più natalità sono l’unica vera riforma possibile per mettere in sicurezza le nostre pensioni.

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