Èarrivato il momento per l’Occidente di mostrare la propria lungimiranza a guerrafondai e a disseminatori di odio. Questo perché solo così si può evitare di farsi sfuggire la situazione di mano.
La vera attuale partita strategica per europei e per americani è quella ucraina. Il teatro mediorientale è un diversivo, all’apparenza creato ad arte, utile per distogliere attenzione mediatica e forze. Un nemico impegnato su due fronti - lo dimostra la storia - è più facilmente battibile. Da qualche mese, come durante la Guerra fredda, si odono commentatori parlare di “asse del male”, questa volta costituito da Russia, Iran, Corea del Nord con la Cina titubante, ma che - stando ad ambienti Usa - fornisce sussidio logistico al trio.
Supponiamo per un momento che questi commentatori abbiano ragione e che l’Occidente sia sotto un attacco combinato. Come si fanno a ridurre i pericoli di uno scontro globale? Sappiamo già che le dirigenze di queste “autocrazie” hanno bisogno di esibire nemici alle opinioni pubbliche interne per poter giustificare politiche repressive in casa propria.
Partiamo dagli aspetti mediatici e militari, nel nostro mondo globalizzato sempre più intrecciati fra loro. Come già successo in precedenza con il Pakistan, l’Iran ha ora attaccato Israele con droni e missili. Se ci si permette un paragone calcistico, l’azione di Teheran nel weekend è apparsa un tiro “telefonato“con il portiere che si getta in tuffo plastico per il classico scatto dei fotografi. Non siamo ai livelli dello sbarco dei marines Usa in Somalia negli anni Novanta con le telecamere della Cnn pronte a riprenderli, ma poco ci manca. Risultato: gli ayatollah hanno provato ai loro ultraconservatori interni di aver mostrato i muscoli ai «nemici sionisti». Poco importa che il 99% dei vettori d’attacco sia stato neutralizzato.Passiamo all’aspetto politico. Sabato notte Israele ha goduto dell’appoggio militare non solo occidentale, ma anche del mondo arabo moderato, nonostante il dramma in corso a Gaza. Se a Teheran qualcuno avesse voglia di suicidarsi, è stato così avvertito: meglio mettere da parte i bollenti spiriti. La lezione del weekend è che in Medio Oriente è Israele ad avere in mano le chiavi della soluzione diplomatica e militare della crisi. Ecco la necessità della de-escalation per comporre poi politicamente la questione palestinese.
Totalmente diversa è la situazione in Europa centro-orientale, dove è l’Ucraina a subire eventi decisi più ad Est e l’Occidente - intrappolato dai vari appuntamenti elettorali - resta incerto sul da farsi, temendo l’apocalisse nucleare. Qui i Paesi della Nato non possono fornire a Kiev la stessa copertura aerea offerta ad Israele, se non si vuole rischiare uno scontro diretto con Mosca. Se il presidente Zelensky avesse a disposizione l’Iron Dome dello Stato ebraico i danni subiti dagli attacchi nemici sarebbero notevolmente inferiori e l’«Operazione militare», in corso da oltre due anni, verrebbe di molto ridimensionata e localizzata a regioni, a questo punto, lontane dalla capitale.
Politicamente le chiavi di questa tragedia sono stabilmente nelle mani del Cremlino, che ha lanciato una sfida al sistema internazionale. All’Occidente non resta che lavorare ai fianchi, levando risorse economiche e finanziarie a Putin.
Al momento le sanzioni, che fanno assai male, non hanno fiaccato l’economia russa e mediaticamente non hanno lo stesso effetto delle palle di fuoco nei cieli israeliani. In conclusione, non basta la supremazia militare e tecnologica a garantire la pace. Servono anche tanta saggezza e moderazione.
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