Occidente in declino e democrazia a rischio

Declino dell’Occidente e crisi della democrazia rappresentano due facce della stessa medaglia che l’opinione pubblica europea continua colpevolmente a sottovalutare. Restiamo al nostro paese che, con la consueta baldanza che ci accompagna, si è prestato più volte a fare da laboratorio politico.

Si pensi al fascismo. Tutti gli storici concordano nel riconoscere in Mussolini l’artefice del totalitarismo ma anche delle prime forme di intervento pubblico in economia dopo la crisi del ’29 che condusse il Duce a varare prima l’Imi (1931) e poi l’Iri (1933).

Molti decenni dopo, con l’avvento di Silvio Berlusconi, il sistema politico del nostro paese sperimentò una nuova forma di democrazia nella quale la televisione assurse a luogo privilegiato del confronto politico. Si trattò di una svolta che mise in crisi il sistema dei partiti e trasformò il Parlamento in mero organo di ratifica dell’esecutivo. Grazie ad un sapiente uso del mezzo televisivo e ad una immane potenza economica, Silvio Berlusconi costruì un partito personale che non esitò ad eliminare le tradizionali liturgie congressuali, ritenute un lascito ingombrante della “prima Repubblica”. Le leggi elettorali varate negli anni del berlusconismo servirono a conferire al nostro sistema politico una inedita impostazione bipolare che contribuì a ridimensionare il ruolo dei partiti e a rafforzare la leadership dei contendenti. Nel solco del berlusconismo, anche gli altri partiti subirono questa metamorfosi personalistica che trasformò le segreterie in una sorta di intendenza composta di fedeli esecutori delle volontà del leader. La de-parlamentarizzazione della democrazia italiana determinò la nascita di quella che Giovanni Sartori definì “videocrazia” nella quale, per una nemesi beffarda, le assemblee elettive assunsero le sembianze di quel sinistro “bivacco di manipoli” di mussoliniana memoria.

L’avvento dei social e delle nuove tecnologie ha reso irreversibile la mutazione genetica dei sistemi democratici e delle modalità di organizzazione del consenso. Il web è diventato il nuovo agorà che ha trasformato radicalmente le forme della partecipazione collocandola in luoghi virtuali e indefiniti. La politica si è vista costretta a modificare la vecchia funzione dei partiti come luogo di confronto e di aggregazione anche perché col tempo le identità sono diventate sempre più labili. La disaffezione del cittadino per la politica ha inflitto un duro colpo non solo alla militanza ma anche alla partecipazione alle urne. L’abolizione delle preferenze ha finito per suggellare lo strapotere delle segreterie dei partiti determinando il definitivo esautoramento del Parlamento, non solo per la citata irrilevanza del ruolo ma anche per la sconsolante pochezza dei suoi componenti, modesti ciambellani del re.

L’arrivo di Donald Trump negli Usa si inscrive in questo processo involutivo della democrazia liberale che, come abbiamo detto all’esordio, coincide con il declino dell’Occidente. In quest’ottica, Trump rappresenta un drammatico salto di qualità, e non già l’ennesimo “incidente della storia” sorto dal nulla come una banale gramigna. Putin, Orban, Lukashenko, lo stesso Erdogan, sono alcuni esempi della deriva autoritaria che continua a diffondersi sul pianeta al punto da contagiare anche il nostro alleato storico con il quale credevamo di vantare un legame indissolubile.

Inutile nasconderlo, il vento della Storia sta cambiando, si capisce dal consenso che una larga parte dell’opinione pubblica continua a tributare al tycoon americano le cui folli esternazioni sembrano non indignare più nessuno. Il declino dell’Occidente si riassume in questa larga adesione ad un modello populista che, Colin Crouch per primo, ha definto “post-democrazia”, di cui è facile scorgere la vocazione antiparlamentare, nazionalista, protezionista, xenofoba e sprezzante dei più elementari diritti di libertà. Gli attacchi che Donald Trump e il suo vice, J.D. Vance, continuano istericamente a sferrare ai media, alla magistratura, e perfino ai professori universitari, denotano una visione illiberale delle istituzioni e delle modalità di esercizio del potere che risulta incompatibile con i valori che il Vecchio Continente continua a rappresentare nel mondo. Si tratta di valori, principi, ideali che abbiamo l’obbligo di custodire e trasmettere ai giovani i quali restano, purtroppo, i “grandi assenti” in questa drammatica partita tra democrazie e autocrazie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA