Netanyahu resta solo davanti agli errori

L’appello di Papa Francesco all’Angelus, la liberazione di quattro ostaggi israeliani e le dimissioni di Benny Gantz, già Capo di Stato Maggiore dell’esercito di Israele, dal gabinetto di guerra istituito per dirigere le operazioni militari dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre scorso. Tutto in poche ore. C’è un nesso tra questi tre eventi? In apparenza no. Il Papa ha chiesto per l’ennesima volta di aprire uno squarcio di umanità in una guerra, quella in corso a Gaza, che non è nemmeno più una guerra: «Incoraggio la Comunità internazionale ad agire urgentemente, con ogni mezzo, per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra. Gli aiuti umanitari devono poter arrivare a chi ne ha bisogno, e nessuno lo può impedire». Le ultime quattro parole sono quelle più pesanti. Nessuno dovrebbe avere l’ardire di ergersi a esegeta del Papa, ma tutti sappiamo bene che il blocco degli aiuti umanitari (insieme con la distruzione delle risorse idriche e delle strutture sanitarie) è una delle strategie che il governo Netanyahu ha impiegato in questi mesi per piegare la resistenza dei miliziani di Hamas, infliggendo però sofferenze insensate alla popolazione civile.

Lo si è visto anche nel caso della liberazione dei quattro ostaggi. Un risultato che, giustamente, è stato nel mondo intero festeggiato come una bella e buona notizia. Nessuno ha dimenticato i volti disperati dei cittadini israeliani innocenti che venivano trascinati via dai terroristi, in quel 7 ottobre che è tuttora così vicino nel tempo perché lo è nei nostri cuori. Però l’operazione israeliana ha sacrificato, come confermato anche dai servizi segreti Usa, più di 200 vite di palestinesi. Come si possa chiamare “blitz” una cosa del genere lo sanno solo certi giornali. Un’altra delle ormai moltissime stragi che, sia pure riarrangiate dalla propaganda militare per cui tutti i morti sono militanti di Hamas e tutte le scuole o gli ospedali sono rifugi di terroristi, non riescono più a nascondere la realtà: gli ostaggi non vengono recuperati e Hamas non viene distrutto. In sostanza, tutte le promesse di Netanyahu stanno naufragando in un mare di sangue.

Esattamente per queste ragioni Benny Gantz, leader del partito Bianco e Blu e già brevemente primo ministro, ha deciso di lasciare il gabinetto di guerra di cui era uno dei tre membri con poteri decisionali (altri tre sono solo consiglieri). Com’è ovvio, anche Gantz fa i suoi calcoli. Il governo Netanyahu non cadrà perché ha la maggioranza in Parlamento ma resterà solo di fronte alle responsabilità, al giudizio dei cittadini israeliani e a quello di un’opinione pubblica mondiale che, in larga parte, condivide l’impostazione della Corte internazionale di giustizia: Netanyahu non è meglio di Sinwar, il leader dei terroristi di Hamas.

Ma non di sola politica politicata si tratta. Le stesse critiche di Gantz a Netanyahu le aveva mosse anche l’attuale Capo di Stato Maggiore, Yoav Gallant, il terzo decisore del gabinetto di guerra. Dove, dunque, due membri su tre concordano nel ritenere fallimentare la strategia scelta dal terzo, ovvero Netanyahu. Il quale, palesemente e non da oggi, ha una sola scelta: proseguire la guerra il più a lungo possibile, costi quello che costi (anche delle perdite reali tra i soldati di Israele, nascoste dalla censura, nulla sappiamo), nella speranza che intanto succeda qualcosa.

Magari la rielezione di Donald Trump o la fuga in Egitto dell’intero popolo palestinese. Potrebbero fermarlo solo gli Stati Uniti, che purtroppo non vogliono. Anzi, chiamano Netanyahu a parlare al Congresso. E poi davvero ci stupiamo se molti Paesi del Medio Oriente sono pappa e ciccia con Putin e Xi Jinping?

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