Chi avrà la pazienza di fare una ricerca su YouTube (e perché non dovrebbe averla? È lì, ormai, che spendiamo gran parte del nostro tempo) troverà un antico talk show americano nel quale, unica ospite, era la scrittrice e filosofa Ayn Rand. Siamo alla fine degli anni Settanta quando ancora, perfino in America, in tv si facevano talk show senza urlare e senza pestarsi i calli a vicenda. Dunque, con tutta calma, rispondendo alle domande del conduttore e a quelle del pubblico, Ayn Rand – ebrea russa naturalizzata statunitense – ebbe modo di illustrare il suo pensiero filosofico (l’Oggettivismo) e di dire la sua su temi sociali delicatissimi.
Nel far cenno all’assistenza ai bambini con gravi disabilità mentali e alle loro famiglie, Rand lasciò tutti a bocca aperta: “Penso che il governo non dovrebbe spendere un dollaro per aiutare quei bambini e loro famiglie. Al contrario, i fondi pubblici dovrebbero finanziare scuole per giovani particolarmente dotati”. Nello studio corse un mormorio di disapprovazione mentre il conduttore, sbigottito, raccoglieva le forze per una domanda tanto ovvia quanto doverosa: “E le famiglie meno abbienti come farebbero a cavarsela?” “Sono certa che fondi privati potrebbero provvedere agli aiuti necessari – la replica di Rand -, ma il denaro pubblico no: quello serve per i giovani più intelligenti”.
Abbiamo dunque trovato un precedente, una radice filosofica o anche semplicemente un’altra personalità bislacca, a sostegno della posizione recentemente espressa in un’intervista dal generale Roberto Vannacci circa la separazione delle carriere studentesche tra “disabili” e “normali” o addirittura “con grandi potenzialità”? Non è in fondo quello che disse quasi cinquanta anni fa Ayn Rand? Anzi, la filosofa russo-americana fu ancora più tranchant e se possibile perfino più sgradevole. Eppure i suoi scritti vengono studiati ancora oggi nelle università (quelle americane, perché in Europa le sue posizioni ultra-liberali non sono gradite) mentre il generale, accanto ai consensi, raccoglie pure un sacco di pernacchie, perfino da chi è schierato nella sua stessa parte politica.
In realtà, la figura di Ayn Rand, a conoscerla almeno un poco, emerge come il perfetto antidoto a Vannacci, la sua nemesi ideale, per così dire, l’opposto che cancella e nega. Sì, perché alla base del pensiero della filosofa c’è il perfetto - verrebbe da dire assoluto - individualismo. Per Rand di Stato ce ne dovrebbe essere poco, anzi pochissimo: quel che rimane, ridotto all’osso, dovrebbe servire a promuovere gli individui in grado di arricchire l’umanità, non a spargere denaro a fini d’assistenza. Si può non essere d’accordo con lei – e moltissimi, con buoni argomenti, non lo sono -, ma il suo pensiero l’ha portata a conclusioni comunque singolari e inaspettate. Ad Ayn Rand interessano solo gli individui e le loro idee, possibilmente geniali. Per lei non ha importanza se un’invenzione, un’opera d’arte o una scoperta scientifica vengono da un uomo o da una donna, da un bianco o da un nero, da un gay o da un etero, da un disabile o da un normodotato, da un americano o da un cinese: la sua adorazione per l’individuo - spinto da un vizio, l’egoismo, che lei non esita a trasformare in virtù – la induce a scolorare ogni categoria, ogni appartenenza, ogni inclinazione: dal colore della pelle al sesso fino alla nazionalità. In una sola mossa, questa tremenda, ignobile reazionaria ha eliminato razzismo, omofobia e nazionalismo. Ma guarda un po’.
Il mondo di Vannacci, da questo punto di vista, non assomiglia affatto a quello di Ayn Rand. Tutto il contrario: per lui bianchi e neri devono stare separati, etero e gay pure e per finire ai disabili vanno riservate classi “speciali”. Altro che nemico giurato del presunto “pensiero unico”: Vannacci è il perfetto conformista, quello che colloca ognuno nella casella del suo (pre)giudizio e non permette a nessuno di uscire perché la sua visione del mondo – che lo tranquillizza – non ne sia turbata. Per trovare una vera anticonformista dobbiamo invece guardare ad Ayn Rand, che se ne frega dei colori, delle inclinazioni e dei “difetti” e punta senza preconcetti sulle potenzialità dell’uomo, da qualunque parte esse provengano. La sua opera e il suo pensiero non sono esenti da bizzarrie, errori e perfino vere e proprie castronerie, ma la coerenza e per certi versi il coraggio della sua difesa dell’individualismo smascherano ancora oggi gli autoritari di piccolo cabotaggio come Vannacci. Per i quali ogni valore è riconoscibile soltanto se assomiglia a loro.
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