Nel governo superato il livello di guardia

Il problema di Giorgia Meloni è che deve evitare che lo scontro all’interno della maggioranza tra i suoi due vice premier non superi mai il livello di guardia e venga ricomposto con mano ferma. Questa volta però il livello di guardia è stato quasi superato o quantomeno la diatriba tra Salvini e Tajani sul canone Rai ha rischiato di provocare danni gravi alla compagine. Sta di fatto che Forza Italia ha votato insieme all’opposizione per bocciare una delle proposte-bandiera cui Salvini è più legato: la riduzione del canone. L’anno scorso il capo leghista c’è riuscito, portandolo da 90 a 70 euro, quest’anno no. La bandiera si è riavvolta su se stessa e proprio per la durissima opposizione di Forza Italia. Salvini non risponde a Tajani quando gli dice che la riduzione del canone non corrisponde ad un vero taglio delle tasse, dal momento che quei 20 euro in meno avrebbero dovuto essere compensati con la fiscalità generale esattamente come si è fatto per il 2024: quest’anno infatti il Tesoro, azionista della tv pubblica, ha trasferito i 430 milioni mancanti prendendoli dal bilancio dello Stato, cioè dalle tasse. Non risponde, Salvini, perché se la sua manovra fosse passata, i cittadini leggendo la bolletta elettrica avrebbero visto una diminuzione, e questo sicuramente sarebbe stato un bene per le fortune elettorali della Lega e del suo leader. Nello stesso tempo l’atteggiamento di Forza Italia all’emendamento del Carroccio viene spiegato dai leghisti con l’opposizione della famiglia Berlusconi il cui timore sarebbe quello che, per compensare le perdite della Rai, piuttosto che prendere i soldi dell’Erario si potesse scegliere di alzare il tetto pubblicitario imposto alla Rai causando così un danno a Mediaset.

Quanto a Meloni ha fatto un gesto di pura tattica: ha concesso i voti del suo partito alla Lega ben sapendo, numeri alla mano, che l’emendamento comunque non sarebbe passato e il problema, nei fatti, non si sarebbe posto. La battuta fatta dalla presidente del Consiglio («Abbiamo raggiunto la tregua in Libano, possibile che non ci riusciamo col canone della Rai?») serviva a svelenire la situazione ma non è stata granché efficace, tant’è che la Lega, battuta in Commissione, si è subito vendicata affondando un emendamento di Forza Italia sulla sanità in Calabria, regione governata dall’«azzurro» Occhiuto.

Qual è il punto? Il punto è che Forza Italia ormai sente di essere il secondo partito della coalizione, stando agli ultimi risultati elettorali, mentre Salvini, che non teme di mettersi in concorrenza con la Meloni cercando di scavalcarla a destra, fa di tutto per rimettere in fila gli ex berlusconiani. E la baruffa continuerà fino alla fine della legislatura, non c’è da illudersi: tutto sta a vedere quanto Meloni riuscirà, come scrivevamo più sopra, a tenere a freno i suoi due vice premier e a imporsi su di loro. Tutto gioca a suo vantaggio ma potrebbe arrivare un momento in cui la situazione si potrebbe rivelare difficilmente governabile.

C’è un aspetto non secondario poi da considerare: i rapporti internazionali. Nella operazione che ha portato Raffaele Fitto alla vicepresidenza della Commissione europea e che ha spostato a destra l’asse di Ursula von der Leyen, il ruolo di Tajani è stato fondamentale: per storia personale e per molte ragioni politiche il ministro degli Esteri ha il suo peso nel Ppe e lo ha saputo esercitare per fare in modo che Ursula non cedesse ai «no» dei socialisti e dei verdi alla candidatura del ministro italiano.

Questo appoggio a Meloni è stato molto utile proprio mentre Salvini giocava la sua partita cercando uno spazio tra Orban in Europa, Trump in America e Netanyahu in Israele. Una partita che ancora una volta lo mette in concorrenza proprio con Giorgia Meloni.

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