E’ forse sfuggita ai più, ma è importante, la notizia che A2A ha avviato un progetto per utilizzare il calore fino ad oggi dissipato dai grandi data center energivori di Milano. Ne usufruiranno 1.250 famiglie del capoluogo regionale, piccola cosa ma tendenza virtuosa. I data center, contrariamente a chi pensa che internet sia gratuito, si prevede che nel 2050, dopodomani, mangeranno mille volte l’elettricità di oggi. Che almeno restituiscano calore. Si chiama economia circolare. L’esponenziale sviluppo della domanda di elettricità, dovuto appunto anche al successo dell’Intelligenza artificiale e all’applicazione sempre più generalizzata dell’on line per qualsiasi cosa, è il grande problema del nostro tempo, forse la prima delle riforme economiche da avviare. Tema globale che entra - via bollette in crescita - dentro le tasche di ciascuno di noi. E che si aggraverà se va avanti invece l’idea di regionalizzare le politiche energetiche con l’autonomia differenziata.
In Italia, lo stiamo affrontando da anni con furbesche politiche di tariffazione, che discendono da scelte energetiche del passato, prima tra tutte l’abbandono del nucleare, inizialmente fiore all’occhiello tecnologico del Paese. Il risultato è che famiglie ed imprese pagano le bollette più care d’Europa, in certi casi anche il 50% in più. Di recente, a causa dell’invasione dell’Ucraina, la crisi dei prezzi è stata pesante, e sommandosi al Covid, ha prodotto la necessità di sussidi miliardari a pioggia. Poi, la benemerita diversificazione Eni dell’approvvigionamento (sempre con Paesi a rischio, peraltro) ha consentito di venirne fuori, ma uno studio di Milano Bicocca ha dimostrato che più l’emergenza si è attenuata, più è aumentato il divario tra l’Italia e i suoi partner/concorrenti. Ne ha risentito dal 2021 la produzione industriale dei settori dipendenti dall’elettricità. Se pensiamo cosa significa pagare l’energia mediamente più del 30%, è da considerare miracolosa la resilienza dell’industria italiana e la sua capacità recente di superare le performance tedesche. Tuttavia, come osserva Federico Fubini, se applicassimo semplicemente la tariffazione spagnola, il made in Italy volerebbe, alleggerito da oneri impropri sul costo energetico.
Il pasticcio principale riguarda le rinnovabili, croce e delizia, amate e combattute spesso proprio per ragioni ambientali. Soprattutto, occorre uscire dalla forzatura della tariffa uguale per tutte le fonti, rinnovabili e non, con relazione obbligata al prezzo del gas, più alto. Anche il calore prodotto dai data center di cui si diceva ha un costo di gran lunga inferiore, ma verrà fatto pagare come quello proveniente da gas o addirittura carbone. È illogico. La Spagna ha introdotto una differenza, facendo pagare elettricità da rinnovabili per quello che costano, ed ecco che a maggio l’elettricità è costata agli spagnoli 37 euro al mgw, agli italiani 95! È qui che occorre intervenire, anche con tariffa europea unica, altro che regionale. L’Unione europea ha emesso da poco un regolamento per allineare la vendita delle rinnovabili al costo relativo, ma in Italia va prima risolto un conflitto di interessi politici e corporativi. C’è la tendenza a fissare prezzi convenienti non per gli utilizzatori finali, ma per i proprietari di terreni dove si installano gli impianti, beneficiari del delta tra costo e tariffa prefissata dall’ente governativo. La Sardegna ha bloccato per 18 mesi nuove autorizzazioni a fronte di richieste che valgono 57,6 mgw, l’equivalente di 85mila campi da calcio, ma il Governo ha impugnato la legge regionale.
Del resto, l’impegno italiano con l’Ue è quello di varare 70 mgw entro il 2030, cioè quasi 10 mgw all’anno, ma negli ultimi due ne abbiamo realizzati al massimo un paio. Insomma, non si capisce se le rinnovabili sono una scelta virtuosa da incoraggiare (come si è fatto riempiendo i tetti privati di piccoli impianti, peraltro cinesi, finanziati con il 110%) o un pericolo da non incentivare. Sempre ideologie (le rinnovabili sono di destra o di sinistra?) e mai l’interesse prevalente del consumatore.
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