Mosca-Kiev: la sorpresa interessata di Orban

Le visite ufficiali di Viktor Orbán, prima a Kiev poi a Mosca, hanno sorpreso non solo la diplomazia internazionale ma anche i più attenti osservatori. Se da un lato è bene tenere aperti tutti i canali possibili di mediazione per trovare finalmente una soluzione alla tragedia russo-ucraina, dall’altra vi è il serio rischio di lanciare messaggi non corretti sia ai politici in conflitto sia alle opinioni pubbliche. E poi in quale veste Viktor Orbán, il cui Paese detiene dal primo luglio la Presidenza semestrale a rotazione dell’Unione europea, si è presentato al cospetto di Zelensky e di Putin?

A livello comunitario la politica Ue verso l’estero è prerogativa della Commissione e del Consiglio dei capi di Stato e di Governo dei Ventisette. Nessuno ha dato al premier magiaro alcun mandato per negoziare e per rappresentare l’Unione.

Quindi? Che visite sono state queste di Orbán? Sono state un maldestro tentativo di proporsi come mediatore oppure dietro a tutto vi è solo un semplice calcolo egoistico?

Da dopo il 24 febbraio 2022 - giorno dell’inizio dell’«Operazione militare speciale» contro l’Ucraina - Budapest non ha fatto altro che frenare le iniziative sanzionatorie occidentali contro il Cremlino sia a livello Ue sia Nato, barattando, però, alla fine il suo voltarsi dall’altra parte con vantaggi che alleviassero, ad esempio, la complessa posizione dell’Ungheria, entrata da anni in rotta di collisione con la Commissione europea.

In sostanza, come fa di solito il turco Erdogan, anche Orbán ha badato più che altro al suo tornaconto. Il problema è che ora la posizione di attesa non paga più e i nodi stanno venendo al pettine. Di conseguenza il premier magiaro è passato alla controffensiva diplomatica.

A Kiev è stato dichiarato da Orbán (giunto qui per la prima volta dopo dodici anni) che si stanno chiarendo le questioni riguardanti la minoranza ungherese, che abita nella zona ucraina dei Carpazi. Tali questioni hanno avvelenato a lungo le relazioni bilaterali. Adesso, d’incanto, è stata imboccata la strada giusta!

A Mosca il premier magiaro ha ripetuto – come aveva fatto anche con Zelensky – che un cessate il fuoco potrebbe facilitare l’inizio di un negoziato. Putin gli ha risposto ricordandogli – se non l’avesse capito – che le condizioni russe sono sempre le stesse dal novembre 2021. In sostanza, porte chiuse a qualsiasi dialogo; il Cremlino vuole la capitolazione di Kiev.

Un politico navigato come Orbán non poteva attendersi nulla di diverso e sorprende come il premier magiaro si sia esposto ad un passo falso del genere. Ma Orbán non aveva altra scelta. L’Ungheria è una dei quattro Paesi Ue che continua a ricevere gas russo, che passa in territorio ucraino nonostante il conflitto in corso. Pare incredibile, ma è così. Il 31 dicembre scadrà il contratto di transito e Kiev ha già reso noto che non ha alcuna intenzione di rinnovarlo, provocando l’ira dei manager della Gazprom e la paura degli ungheresi.

Budapest, in breve, sta per perdere gli approvvigionamenti di metano, pari a circa il 90% o giù di lì del fabbisogno nazionale. Le conseguenze di una tale situazione potrebbero essere per lei catastrofiche, considerando anche l’atteggiamento indisponente tenuto finora con gli altri partner europei.

La lettura che Orbán sia andato a tastare il terreno in vista della vittoria di Le Pen in Francia e del ritorno di Trump alla Casa Bianca non tiene conto che i prossimi sei mesi saranno decisivi sul piano militare. Peccato che Putin abbia presentato alla propria opinione pubblica Orbán come un rappresentante europeo!

© RIPRODUZIONE RISERVATA