Il nuovo decreto sui migranti, sottoscritto il 23 ottobre dal Capo dello Stato, stabilisce quali sono i Paesi sicuri, che ora comprende anche Tunisia, Egitto e Bangladesh, cioè i Paesi dai quali provenivano i migranti trasportati in Albania e poi riportati in Italia dopo le ordinanze del Tribunale di Roma, che non le avevano convalidate perché in contrasto con una sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 ottobre che quei Paesi non li considerava pienamente sicuri.
Ora l’elenco dei Paesi sicuri è inserito in un decreto legge, norma primaria mentre prima si trattava di un semplice regolamento, che non può essere perciò disatteso dai giudici, salvo che ravvisino condizioni particolari di singole persone che si trovino in difficoltà o pericolo per motivi da accertare caso per caso. Oppure i giudici potrebbero anche rivolgersi alla Corte di Giustizia europea ove vi siano problemi di interpretazione o addirittura di contrasto col diritto comunitario.
Ed è proprio ciò che accaduto qualche giorno fa quando il Tribunale di Bologna, esaminando il caso di un cittadino bengalese al quale era stata rifiutata la protezione internazionale perché proveniente da un Paese inserito nel decreto legge appena approvato dal Governo tra quelli sicuri per rimpatriarvi i migranti espulsi dall’Italia, ha chiesto con ricorso alla Corte di Giustizia Ue di stabilire se tale decreto poteva considerarsi conforme ai criteri fissati dal diritto comunitario ai fini del riconoscimento di Paese sicuro.
La situazione giuridica, quindi, dovrà essere chiarita dalla Corte europea alla quale è stato posto il quesito dai giudici di Bologna. Nel frattempo, il ministero dell’Intero ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di presentare ricorso in Cassazione contro le ordinanze del tribunale di Roma, anche se ora il nuovo decreto, che è già in vigore, ha concesso la possibilità di impugnare tali provvedimenti anche davanti alla Corte d’Appello entro cinque giorni.
Doveva finire così quello che appariva un rinnovato scontro tra politica e magistratura dai toni molto accesi che vedeva una parte accusare la magistratura di lavorare contro il Governo per ragioni politiche e pregiudiziali e l’altra lamentare un attacco non giustificato alla sua autonomia e indipendenza. D’altra parte, i giudici hanno il dovere di applicare le normative interne e internazionali e non possono ricevere ordini dal Governo, come giustamente dichiarato dal Presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. Anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha riconosciuto che “può essere legittimo e comprensibile che i magistrati liberamente esprimano le loro opinioni, soprattutto nell’ambito dell’attività associativa”.
Però definire, sia pure in un dibattito all’interno dell’associazione, che il Presidente del Consiglio sia una persona pericolosa, è usare un “termine inadeguato”, come affermato dallo stesso Presidente Anm Santalucia o “grave”, come dichiarato dall’ex giudice Violante. Anche se nella mail diretta ai soci dell’Anm lo stesso magistrato aggiungeva la frase: “Non dobbiamo fare opposizione politica, ma difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini a un giudice indipendente”. Ma anche definire la sentenza del Tribunale di Roma sui migranti “abnorme”, come ha fatto il ministro Nordio, sembra essere eccessivo.
Purtroppo, quando la scontro tra Governo e magistratura sembrava essersi placato, anche a seguito dell’intervento del Capo dello Stato che aveva invitato tutti ad abbassare i toni, il Tribunale di Bologna ha deciso di inviare il decreto del Governo alla Corte europea per esaminare il contrasto con il diritto comunitario. E i giudici avevano soltanto due scelte da fare in applicazione dell’art. 117 della Costituzione il quale sancisce che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: o disapplicare il decreto in quanto norma di rango inferiore rispetto a quella comunitaria, oppure ricorrere alla Corte di Giustizia europea per la decisione della questione. Il Tribunale ha scelto la strada più moderata.
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