La nuova offensiva italiana sul fronte migranti si consuma lontano dagli occhi di molti, precisamente in Albania, tra il porto di Schengjin e la base militare dismessa di Gjader. È lì che il governo di Giorgia Meloni, attraverso un lucroso accordo con il premier albanese Edi Rama, ha deciso di giocare una partita tutta politica e propagandistica.
L’idea, mascherata da strategia anti-immigrazione, ha preso vita con la costruzione di centri per richiedenti asilo e strutture per il rimpatrio forzato. Gli alloggi sono degli abitacoli prefabbricati, simili a gabbie, indegni di un Paese civile, quasi ci fosse già pregiudizialmente da scontare una pena: reato di immigrazione. Ma ci sono anche venti vere e proprie celle. Qui, tra gabbie e celle, si cerca di dare l’ennesima risposta “forte” al fenomeno migratorio, nel tentativo di convincere l’elettorato italiano che il problema è sotto controllo.
Nel frattempo, al tribunale di Palermo, Matteo Salvini è sotto processo, vi si reca accompagnato dalla parata dei “suoi” ministri, usciti dal loro ruolo istituzionale. L’accusa di sequestro di persona, un’altra battaglia sul filo del rasoio della legalità internazionale che rende evidente, ancora una volta, il braccio di ferro tra politica e giustizia.
I fatti parlano chiaro: 16 migranti, provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto, sono stati selezionati e trasferiti nella base di Gjader. Non sono soggetti “vulnerabili”, almeno secondo le parole del governo, anche se tra di loro si contano due minori e due persone con necessità mediche, poi riportati in Italia.
Il punto di partenza dell’operazione è il trasferimento da parte della nave Libra della Marina Militare, la stessa che, anni fa, contribuiva a salvare vite umane con l’operazione Mare Nostrum, subito dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Oggi, invece, quella stessa nave traghetta migranti verso un destino molto più incerto e crudele.
Il tribunale di Roma ha emesso ieri una sentenza che non lascia spazio a interpretazioni: il trattenimento di questi migranti non è stato convalidato. La decisione si basa su una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre, che ridefinisce il concetto di “Paese sicuro”. Un Paese può essere considerato tale solo se in nessuna sua parte vengono praticate persecuzioni, discriminazioni o torture. L’Egitto, il Bangladesh e la Tunisia, applicando i criteri della sentenza, non sono considerati sicuri. Da ciò deriva l’inapplicabilità della procedura di frontiera (ovvero di estradizione di persone che rappresentano un rischio per la sicurezza). Di conseguenza, prevede il Protocollo, va messo in atto il trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere ricondotte in Italia.
Il protocollo tra Italia e Albania, di conseguenza, perde di credibilità: quei richiedenti asilo devono tornare nel Paese dove sono approdati, l’Italia. E così la sceneggiata dei rimpatri “esternalizzati” si sgonfia di fronte alle norme del diritto internazionale. Ma ciò che lascia davvero sconcertati è il costo di questa operazione: oltre un miliardo di euro per tenere in piedi questo esperimento di geopolitica sui corpi dei disperati.
Fino al 2028, l’Italia spenderà 800 milioni, cui si aggiungono 200 milioni per gli allacciamenti e 3 milioni all’anno per il mantenimento dei centri. Ogni migrante trattenuto in Albania costerà allo Stato italiano 410 euro al giorno, contro i 35 che sarebbero necessari se fosse accolto in Italia. Il lettore faccia due conti e si chieda: a cosa serve spendere tanto quando il sistema di accoglienza nazionale potrebbe funzionare con molto meno? C’è poi un aspetto inquietante che monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes della Cei, ha sottolineato con forza. Nei centri albanesi è prevista anche una prigione per chi commette reati. Ma in un sistema dove i diritti vengono calpestati, è facile immaginare che chiunque manifesti il minimo dissenso possa finire rinchiuso.
«Sono lager», denuncia Perego senza mezzi termini. «Luoghi in cui la dignità umana viene negata, e con essa quella stessa Costituzione che chiediamo ai migranti di imparare una volta arrivati in Italia. E conclude con una domanda che inchioda il governo alle sue responsabilità: «Perché non usare quei fondi per rafforzare l’accoglienza in Italia?» Già, perché?
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