Meloni tenta di compattare la sua maggioranza

In pochi giorni tre discorsi incendiari: uno domenica ad Atreju, uno martedì alla Camera e mercoledì l’ultimo al Senato. Giorgia Meloni ha deciso di spingere sull’acceleratore della polemica contro le opposizioni.

Con l’indubbia efficacia oratoria che tutti le riconoscono, Meloni si è più volte tolta la giacca da presidente del Consiglio e ha indossato il casco del leader di partito pronto a battersi con Prodi e Monti, con Conte e Schlein, con Renzi, Bonelli e altri personaggi anche di secondo piano. Al Senato l’obiettivo era soprattutto Renzi che, come Prodi, le aveva rimproverato di essere succube della nuova narrazione trumpiana portata qui in Italia da Elon Musk divenuto suo caro amico. «Amico sì ma io non prendo ordini da nessuno!» ha ribadito lei ricordando a Renzi il suo essere a suo tempo un ammiratore di Obama come aveva rinfacciato a Prodi di essere stato troppo vicino ai cinesi ai tempi in cui il Wto aprì alla Cina il commercio mondiale inaugurando di fatto l’era della globalizzazione.

Entrambi accusati di una obbedienza allo straniero che, secondo la premier, sarebbe un vizio della sinistra, quello di affiancarsi a qualcuno di potente all’estero cercando di farsi aiutare contro un avversario interno. E qui si è innescata la polemica durissima col Pd sull’elezione della nuova Commissione europea e il voto sul commissario italiano Raffaele Fitto: sostanzialmente Meloni ha accusato i democratici di aver sabotato l’elezione del ministro pugliese perché il loro vero obiettivo sarebbe stato quello di garantire il voto favorevole alla ministra spagnola dell’Ambiente, una socialista dalle posizioni molto simili a quella di Elly Schlein. L’accusa è pesante: siete anti-italiani. «Anti-italiano e anti-europeo è semmai Matteo Salvini», hanno ribattuto i Pd e Renzi mentre Monti riprendeva l’amicizia con Musk considerandola poco dignitosa per il capo del governo italiano. Anche Monti ha avuto la sua bella risposta puntuta dal banco del governo, inserito anche lui tra coloro che ragionano rigidamente dividendo il mondo in amici e nemici. «E quando Musk era amico vostro nessuno fiatava, adesso che è amico di Trump diventa impresentabile!» ha detto la presidente alzando per l’ennesima volta la voce. Durissima contro i Cinque Stelle, già accusati di aver destinato 300mila euro all’anno di soldi pubblici per sovvenzionare Beppe Grillo o di aver sperperato centinaia di milioni per consentire a chi se lo poteva permettere di rifarsi la facciata del palazzo o della villa.

Ma anche sulle banche la contrapposizione con Conte è stata al calor bianco come sul tema Albania: un progetto che per il governo resta pienamente valido nella certezza che presto non solo funzionerà ma anzi verrà adottato da altri Paesi europei. Lo aveva gridato dal palco di Atreju: «Dovessi lavorarci giorno e notte, vi garantisco che funzionerà, fun-zio-ne-rà!».Tre discorsi di fuoco molto lontani dall’aplomb tipico che in genere caratterizza gli interventi, soprattutto in Parlamento, dell’inquilino di palazzo Chigi.

C’è da chiedersi per quale ragione tanta animosità dal momento che non sono in vista elezioni importanti e che alla fine la difficile partita della finanziaria sta per concludersi mediante il tradizionale voto di fiducia (che anzi Giorgia Meloni ha detto che, se potesse, lei lo eviterebbe). Una possibile interpretazione: la premier scuote l’opposizione in una specie di duello rusticano perché vuole provocarne la reazione, le proteste, le accuse; uno stratagemma che in genere serve a compattare una maggioranza attraversata da tensioni e a richiamare tutti all’ordine.

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