
Un esercizio di equilibrismo davvero difficile, quasi estremo. Giorgia Meloni, nella sua relazione al Parlamento in vista del Consiglio europeo di oggi, si è destreggiata con la consueta abilità fra la sua vicinanza politica a Trump e la sua appartenenza all’Europa.
In un discorso molto lungo in cui sono stati trattati tanti argomenti (dai migranti all’energia, dal Green Deal a Gaza, ad una ipotetica manovra correttiva peraltro smentita, ecc.) il punto centrale su cui a Bruxelles per due giorni si discuterà animatamente è la guerra in Ucraina alla luce di quello che sta succedendo nel nuovo dialogo Trump-Putin che si è concretizzato in una telefonata di due ore.
E allora ecco Meloni che non sconfessa il voto favorevole al Parlamento europeo di FdI al piano della von der Leyen «ReArmEu», ma lo critica pesantemente e in qualche modo lo sminuisce. Esempio: dice che non un solo centesimo destinato allo sviluppo andrà all’acquisto delle armi e che gli «800 miliardi previsti dal piano sono in realtà la possibilità per i singoli Stati di fare più deficit per aumentare la spesa di sicurezza». E poi la difesa comune (attenzione: non un esercito comune che «non è all’ordine del giorno») «non significa necessariamente acquistare armi». Quindi il piano è per Meloni «un annuncio roboante» dal momento che l’Europa deve realisticamente capire che non può difendersi da sola senza l’aiuto, all’interno della Nato, degli Stati Uniti e del suo presidente i cui sforzi per la pace vanno sostenuti: «Sbagliato staccare l’Ue dagli Usa». Tant’è che sui dazi si produce in un affondo molto preciso e tutto dalla parte di Washington: «Siamo contrari alle rappresaglie» che non può non essere letta come una critica a quanto stabilito a Bruxelles per reagire ai dazi decisi per primo da Trump sulle merci europee.
Se poi c’è qualcuno che pensa che dei soldati italiani possano andare in Ucraina («verso la quale il sostegno è quello di sempre») come forza di interposizione, si sbaglia: non se ne parla. Il piano anglo-francese di Macron e Starner per una forza di “volenterosi”? «Complesso, rischioso e poco efficace».
Questo è dunque il compromesso raggiunto all’interno della maggioranza per farla arrivare unita alla mozione da far votare al Senato, e che infatti è stata tranquillamente approvata ieri sera. Un compromesso che Meloni deve all’atlantismo ed europeismo ortodosso di Forza Italia, il partito del Ppe, ma anche, sia pure senza gioire, al «pacifismo sovranista» di Salvini la cui guerriglia verbale pro Trump combattuta ogni giorno non può essere ignorata: da non dimenticare che la Lega ha votato contro la risoluzione ReArmEu come grillini e sinistra e diversamente da Forza Italia e FdI. Proprio per tentare di sabotare questo accordo del centrodestra, oggi alla Camera Carlo Calenda proporrà la stessa risoluzione votata all’Europarlamento in cui si parla esplicitamente di «riarmo» e sfiderà Meloni e Tajani a rivotarlo anche a Roma. Ma se accadesse, la maggioranza si romperebbe dal momento che Salvini sarebbe pronto anche a votare il testo dei grillini: «Meno armi più sanità». Vedremo oggi.L’opposizione in effetti ha presentato cinque proposte di mozione, una per partito: Pd, Italia Viva, AVS, Azione e, appunto, M5S, hanno espresso ciascuna un proprio punto di vista, in ogni caso critico nei confronti della politica di difesa che von der Leyen sta portando avanti.
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