Manovra: sviluppo se il bilancio è sano

Il ministro Giorgetti cerca tre miliardi e vuole tagliare le spese dei ministeri. I tagli in Italia vi sono sempre stati, famosi quelli lineari di Giulio Tremonti. Nel 2009 negli enti locali vi sono stati risparmi per 9 miliardi di euro.

A ritroso nel 1992 il governo Amato licenzia la manovra finanziaria più imponente dell’Italia repubblicana, 93mila miliardi di vecchie lire. Il governo Monti nel 2012 taglia per 25 miliardi gli investimenti sanitari nell’arco di un triennio. Una tendenza che prosegue tra il 2015 e il 2019, con i governi a guida Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Niente di nuovo ma la differenza è che adesso si opera in modo sistematico. Non si improvvisa più sull’onda dell’emergenza. Il bilancio va messo in sicurezza e va garantita la solvibilità del debito nel tempo. La conseguenza è significativa: l’assalto alla diligenza dei soldi pubblici trova sempre meno spazi. In più emerge l’obbligo di mettere mano alla disorganizzazione della spesa. L’opacità contabile che ha segnato spesso i decenni passati è il terreno ideale per la malversazione e l’intrallazzo. L’obiettivo per il 2024 è il 3,8% di deficit. Uno sforzo non facile che costringe a guardarsi intorno per trovare soluzioni senza dover innalzare l’imposizione fiscale.

Si arriva così al 20,9% che è la quota di Imu, imposta municipale unica, che sfugge alle casse pubbliche. Sono dati contenuti nella Relazione sull’evasione fiscale resa nota dal ministero dell’Economia. Vuol dire che ogni anno mancano nelle casse degli enti pubblici 5 miliardi di euro. Il motivo è che 4 milioni di immobili sono fantasma, ovvero ci sono ma nessuno li vede. Sono 444 miliardi di euro quantificati in costruzioni fisse che non vengono rilevati e che quindi non generano entrate per il fisco. Se guardiamo poi alla distribuzione territoriale vediamo che al 40% della Calabria corrisponde l’11% dell’Emilia Romagna. Il che rende evidente che il problema non è economico, ma squisitamente politico. Come può un amministratore ricorrere ai droni per monitorare il territorio e quindi procedere all’identificazioni delle costruzioni non ufficialmente registrate? Non può. Pena una sollevazione generale di tutti gli interessati. Se per ogni fabbricato illegale calcoliamo almeno tre persone costrette a regolarizzare la loro posizione ci troviamo di fronte a una marea di persone che poi fa uso del voto. Politici e partiti lo sanno e si regolano di conseguenza. Questo è il prezzo della democrazia.

I governanti lo si voglia o no sono espressioni del loro elettorato. E se l’elettorato ha in uggia il vivere civile ordinato e preferisce l’opacità o l’elusione o l’evasione occorre fare una riflessione su come poter intervenire. L’Europa sembra offrire alla classe politica l’ideale alibi per poter cominciare a erodere un terreno sino a ieri considerato off limits per la buona amministrazione. L’impone il vincolo europeo e quindi non abbiamo alternativa. Un argomento consolidato nel tempo che preclude ogni via d’uscita. Rinunciare all’euro è infatti impossibile per un Paese con tremila miliardi di debito. L’han capito anche gli euroscettici che parlano di Europa da riformare, da rendere più “sovranista”. Non uno, nemmeno l’eretico Orban che dica: adesso ce ne andiamo. Secondo i dati del Penn World Database l’Italia ha perso dal 1980, 45 punti percentuali in produttività rispetto alla Germania e 35 sugli Stati Uniti. Questi ritardi si recuperano con l’ottimizzazione della spesa pubblica. Con risorse di gettito da impiegare nel miglioramento dell’amministrazione pubblica, nella costruzione di scuole, nella digitalizzazione, nell’incentivazione delle start up innovative. Condizioni indispensabili per la competitività del sistema Italia e per l’incremento della produttività. Ecco perché un bilancio sano è premessa di sviluppo.

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