Manovra, adesso comandano i numeri

La stagione (della resa) dei conti di finanza pubblica, con il nuovo Pbs (Piano strutturale di bilancio), è appena partita ma è già arrivata la prima doccia fredda: l’Istat ha corretto i risultati 2024, con un tendenziale 0,6% che abbatte quell’1%, che era il cardine di uno sforzo di aggiustamento settennale.

Insomma, la ricreazione è davvero finita, e comandano i numeri, anche se la politica continua a far chiasso su promesse di ogni tipo. Ci va di mezzo Giancarlo Giorgetti, che accenna a tasse per tutti e apriti cielo: persino il sempre arrendevole Tajani giura che con lui al governo non succederà mai. Eppure il Pbs, disegnato dall’ex numero due di Mario Draghi, segna un forte cambiamento di metodo, è il rovescio esatto del “liberi tutti” di tassi bassi o sottozero, mamma Bce che comprava debito a go go, e spensierata distribuzione di bonus e sussidi, persino sulla benzina. Ora, per Giorgia Meloni, anti accise negli spot, è pronto il contrappasso dell’aumento della diesel. E per il tabacco, che rende 15 miliardi all’erario, si parla di un aumento di 5 euro a pacchetto.

Del resto, gli impegni Pbs sono rigidi e non modificabili per 7 anni, se non rispettati provocano procedure di violazione e niente accesso ai prestiti Bce. Possono essere toccati solo nel caso estremo del cambio di governo, cioè dell’autodichiarazione di fallimento politico. Giorgetti ha presentato un documento di 217 pagine, con tanti buoni propositi e molte genericità, ma nel segno del principio “più Europa”. Basta non far sapere a Salvini cosa fa il suo vice segretario, e infatti convoca a Pontida tutti i più spietati nemici dell’Europa (e amici di Putin). Ma Giorgia Meloni sa bene che il suo successo internazionale dipende dall’apprezzata contraddizione del programma elettorale. Disprezzava le multinazionali ma ora va a braccetto con Elon Musk e con Blackrock. Le scappa la frizione con von der Leyen, ma poi sacrifica il ministro che le serve di più, Fitto, pur di aver un posto al sole a Bruxelles. Con rischi sull’attuazione del Pnrr, ora affidato a chissà chi e già diventato lumaca (solo 9 miliardi utilizzati su 46 nel 2024, denuncia Confindustria). Con un debito di 3mila miliardi, che quest’anno costa circa 90 miliardi di interessi (l’equivalente della spesa per l’istruzione, dice il direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta), bisogna dimostrare maturità. Ed ecco i nuovi vincoli sulla spesa primaria netta, che negli ultimi anni è sempre cresciuta oltre il 5% e ora va ridotta alla media dell’1,5%, sia pur al netto delle provvidenze europee, degli interessi, e dei sussidi di disoccupazione.

Ma l’1,5% di taglio è nominale. Già così è restrittivo, ma se usiamo il deflatore del Pil, diventa in termini reali un misero +0,6 nel 2025. E quindi non si può scherzare. I ministeri devono tagliare almeno 2 miliardi, e sarà dura, perché per ora c’è solo il taglio del contratto grandi eventi della signora Boccia. Considerando poi che è prescritto una riduzione dello 0,5% nel deficit, per rientrare nel 3% (ora siamo quasi al doppio) c’è da fare una scomoda cura dimagrante, ma per salvare la faccia bisogna confermare le quote 2023 del cuneo e dell’Irpef (16 miliardi, già metà della manovra).

Ma il deficit rimane e infatti sono previsti 52 miliardi in più solo nel prossimo triennio. Con la ricaduta sul debito, che solo a fine corsa, 2029, “scenderà” al 135,3%, qualche decimale sotto il livello attuale. Capirai. Sul versante delle entrate - quelle su cui si stanno esercitando il nuovo governo britannico, subito crollato nei sondaggi, e quello francese, che accenna alla patrimoniale - va spiegato a Tajani che c’è già ora un aumento dello 0,8% della pressione fiscale, al 42,3%. Si sente parlare di condoni (il prossimo sarebbe il ventesimo) e del solito arduo disboscamento delle centinaia di eccezioni fiscali.

Per le grandi aziende in salute (e meno male) non certo il populismo degli extraprofitti, forse una tassa una tantum. Attenzione, perché le banche (spiegatelo a Fratoianni) distribuiscono dividendi a normali risparmiatori e si rivalgono con i costi alla clientela. E attenzione anche all’abolizione dell’Ace per le imprese, sigla che vuol dire “Aiuto alla crescita economica”. Con il +0,6% di Pil, già non stiamo messi bene.

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