Macron, scommessa vinta solo a metà

Con l’eccezione del gruppo ristretto che lavorava in segreto a questa ipotesi in accordo con il presidente, Emmanuel Macron ha sorpreso perfino il proprio partito. Nessuno si aspettava che avrebbe reagito alla umiliante batosta incassata con il trionfo della destra ultranazionalista nel voto delle europee sciogliendo l’Assemblea Nazionale, il Parlamento unicamerale di Parigi. E invece lo ha fatto, rivolgendosi ai «cari compatrioti francesi» con un breve e asciutto discorso trasmesso in diretta televisiva. «Non potevo andare avanti fingendo che non fosse successo niente, pertanto ho deciso di restituirvi la scelta del vostro futuro parlamentare». Macron ha dunque annunciato di aver fissato elezioni legislative anticipate già per il 30 giugno, con turno di ballottaggio il 7 luglio: tempi rapidissimi, impensabili dalle nostre parti ma resi possibili in Francia dal sistema semipresidenziale previsto dalla Costituzione.

Perfino il giovane primo ministro (a questo punto uscente) Gabriel Attal non ne sapeva nulla, e ha tentato in extremis di dissuadere il presidente. Invano. Macron non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi e adesso politici e analisti francesi e stranieri sono lì a interrogarsi sul vero motivo di questa scelta che non era affatto dovuta, che assomiglia pericolosamente a un azzardo e di cui si fatica a comprendere la strategia (ammesso, dicono i più maligni, che davvero ce ne sia una e che non si sia trattato invece di una decisione impulsiva, dettata dalla collera di fronte al rifiuto dei francesi di concedergli consenso).

Difficile che sia così. Quella di Macron sembra piuttosto una scommessa politica, un tentativo di mettere l’opinione pubblica davanti al pericolo reale di una presa del potere da parte dell’ultradestra filorussa e fondamentalmente antieuropea. Con l’obiettivo di portare alle urne un elettorato motivato da uno spirito del tutto diverso da quello che in occasione del voto europeo ha convinto molti a restarsene a casa per protesta o per accidia, e tanti di quelli che al seggio ci sono andati a scegliere (secondo lui) più con la pancia che con il cervello.

Il messaggio del presidente è chiarissimo. «L’ascesa dei nazionalisti e dei demagoghi è un pericolo non solo per la nostra nazione, ma anche per la nostra Europa e per il posto della Francia in Europa e nel mondo». Insomma, state ben attenti a non dimenticare che il momento storico che stiamo vivendo, con la guerra in Ucraina e la minaccia di Vladimir Putin alla sopravvivenza stessa delle democrazie europee, non consente di votare in leggerezza: il 30 giugno bisognerà aver chiaro che scegliere di sostenere Emmanuel Macron significa costruire un baluardo contro l’ascesa al potere di chi vorrebbe sconquassare l’attuale sistema di valori occidentale e perfino le sue alleanze, sola garanzia di pace per la Francia e per l’Europa.

Per capire il senso della mossa a sorpresa di Macron, bisogna aver presenti alcuni punti chiave. Prima di tutto, essendo quello francese un sistema semipresidenziale, il capo dello Stato non corre rischi politici personali diretti sciogliendo il Parlamento: egli è stato eletto dal popolo per un mandato di cinque anni che scadrà nel ’27, e anche se la sua scommessa fallisse e si ritrovasse senza una maggioranza a Palais Matignon, non sarebbe tenuto a dimettersi. La Costituzione francese, infatti, prevede l’istituto della coabitazione, ovvero la coesistenza del presidente (che ha molti più poteri del nostro) di un colore politico con un primo ministro (che ha molti meno poteri del nostro) di un altro colore. Questo primo ministro sarà nominato dal presidente e dovrà godere della fiducia sua e del Parlamento, che di solito gliela concede in nome dei superiori interessi comuni della nazione.

Situazioni di questo genere si sono già verificate almeno tre volte nella storia recente della Francia, l’ultima nel 1997 quando il presidente gollista Jacques Chirac si trovò a coabitare con il socialista Lionel Jospin (dopo aver perso elezioni anticipate che aveva imprudentemente convocato per far confermare una sua riforma costituzionale), e due volte al suo predecessore socialista François Mitterrand. Ma è chiaro che adesso il contesto è più rischioso per Macron, perché i suoi avversari sono una forza antisistema che punta a un completo capovolgimento degli equilibri attuali.

Per sperare di non perdere quella che potrebbe essere la sua estrema scommessa politica, Macron non potrà puntare soltanto sulla paura che la maggioranza dei francesi ha di vedere presto all’Eliseo Marine Le Pen. Dovrà dare sostanza alla promessa che ha fatto domenica sera al popolo sovrano di «ascoltare il vostro messaggio e le vostre preoccupazioni, che non lascerò senza risposta». Queste preoccupazioni sono quelle che hanno spinto milioni di elettori né fascistoidi né filorussi a scegliere la destra populista: repulsione e paura dell’immigrazione islamica, avversione verso la «burocrazia parigina» che ignora le aspettative della provincia e della campagna (la “Francia profonda”), ostilità per le norme europee spesso ottuse che sembrano concepite per ostacolare una vita normale. Macron dovrebbe promettere, almeno in parte, di snaturarsi.

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