Vladimir Putin alza ancora di più l’asticella del suo ricatto all’Occidente. Lo fa mentendo, com’è abituato a fare fin dai tempi del KGB alla cui scuola si è formato e il cui potere perpetua in Russia sotto nuove forme. Siete voi, dice, a trasformare il conflitto in Ucraina in un conflitto globale fornendo a Zelensky i missili per colpire il nostro territorio. Ci costringete a reagire e siamo pronti a farvene pagare le conseguenze. Dimentica, non casualmente, i suoi stretti legami di lunga data con tre potenze straniere in questa guerra: l’Iran (che da due anni gli fornisce droni e missili in quantità), la Corea del Nord (che ha già inviato al fronte di Kursk 10-15mila propri soldati oltre a migliaia di container di missili e munizioni) e la Cina, ben più sottile dei primi due, che oltre a fornire materiale “dual use” utilizzabile in guerra aggira le sanzioni internazionali e compra sottocosto ingenti quantità di petrolio e gas dalla Russia sostenendo la sua economia di guerra.
Una volta di più, e sempre di più, Putin ci minaccia brandendo i suoi missili a testata nucleare. E certamente il dittatore con le spalle al muro, infilatosi da solo nel tunnel di una guerra totale che non può vincere e da cui non può tornare indietro pena il collasso del suo regime, è molto pericoloso. Alza verso il cielo, come si diceva, l’asticella del suo ricatto nucleare, ma è sempre meno credibile dopo che numerose “linee rosse” da lui indicate in tono minaccioso sono state varcate dagli alleati dell’Ucraina senza conseguenze.
Più altisonanti sono le minacce, più in realtà dimostrano la debolezza di chi le strilla facendo la faccia cattiva in televisione. Debolezza confermata dalla natura dei patti sottoscritti da Putin con le tre potenze sopra ricordate, con cui si è impegnato a pagare carissimi prezzi in termini di cessione di know-how militare e nucleare, di dipendenza economica e (è il caso della Cina) di sottomissione strategica. È però un fatto che, ormai, il dittatore di Mosca sta per esaurire le sue occasioni di rilancio: il rischio è che, incapace di vincere quella guerra che quasi tre anni fa aveva scatenato illudendosi di trionfare in pochi giorni o settimane come aveva fatto Hitler in Polonia nel 1939, cerchi ora di farlo sfruttando la sponda che gli offre Donald Trump.
Putin potrebbe decidere, in altre parole, di giocarsi davvero la carta estrema di una provocazione nucleare, non necessariamente in Ucraina, contando sulla mancanza di volontà (nel suo stile, lui certamente pensa alla mancanza di qualcos’altro) degli europei e degli stessi americani di rispondere con la stessa moneta. A quel punto, potrà sperare che un Trump reinsediato alla Casa Bianca preferisca chiudere la faccenda mantenendo la promessa fatta ai suoi elettori di “imporre la pace” in Ucraina. Una ipotetica pace che avverrebbe di fatto alle condizioni di Putin, sulla pelle del popolo ucraino.
Una falsa soluzione che non risolverebbe nessuno dei nostri problemi. Aprirebbe semmai le porte alla fine della sicurezza europea come la conosciamo, con le forze russe ai confini orientali dell’Europa e una successiva serie di pesanti ricatti imposti a una Nato a quel punto già indebolita e screditata che il ministro degli Esteri russo Lavrov ha da tempo anticipato descrivendoli ipocritamente come “garanzie per la sicurezza della Russia”. Non solo: la ritirata in stile afgano degli Stati Uniti dall’Europa orientale convincerebbe definitivamente Xi Jinping che la prepotenza paga, dandogli modo di aprire un nuovo fronte di guerra a Taiwan e in Estremo Oriente, sempre d’intesa con Russia e Corea del Nord.
Questo ci aspetta se non comprenderemo in fretta che la bruttissima situazione attuale non ammette soluzioni ideali, ma solo una scelta tra mali minori. E cedere al ricatto della paura, illudendosi di poter negoziare con chi vuole solo continuare la guerra contro il nostro mondo, non è il male minore. Lo aveva già spiegato da par suo, più di settant’anni fa, lo scrittore tedesco Ernst Jünger, testimone del Novecento: «Per non smarrirsi nel mondo delle illusioni, non si deve mai perdere di vista il necessario: la libertà è comunque data con la necessità».
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