Prima di Cristo i minori non valevano niente, le loro vite erano appese a un filo, valevano poco più di un animale, soprattutto i fanciulli di strada. Quelli che si vedono ancora oggi per le bidonville di Rio o nelle strade di fango di Port-au-Prince.
Qualche anno fa chi scrive viaggiava a bordo di un pick up per un reportage giornalistico nel quartiere della capitale miserabile di Haiti, dove un bimbo su tre muore prima dei 5 anni. Ci chiese un passaggio un orfanello di strada di pochi anni. Fece il giro di tutti gli occupanti del veicolo per farsi abbracciare, poi scese dalla macchina, contento per quella scorta di calore umano che non aveva mai avuto. Fu il Vangelo a metter ai bambini un diadema e a proteggerli («Lasciate che i bambini vengano a me»). Oggi, se guardiamo ai tanti conflitti conclamati o dimenticati nel mondo, possiamo dire che stiamo tornando al regno di Erode.
Nella vile e disumana aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023 furono decine i bambini israeliani uccisi nei kibbutz, alcuni bruciati vivi, 30 sono ancora nelle mani dei terroristi. A Gaza sono morti sotto i bombardamenti israeliani 11mila bambini, 25mila se consideriamo gli adolescenti: immaginatevi uno stadio pieno di minori, come quelli del Cile ai tempi di Pinochet, tutti condannati a morte, chiamati uno a uno per subire il supplizio. Quanti sono i bambini uccisi nel conflitto ucraino che ha complessivamente fatto un milione di morti? E quanti sono i minori ucraini strappati alle loro famiglie o alle loro case famiglia e deportati in Russia? Potremmo andare in molti posti del mondo per continuare questo infanticidio: Yemen, Sudan, Sud Sudan, Congo, Eritrea, Niger, Siria… Ma non c’è solo la guerra. Quasi 2 miliardi di fanciulli vivono in un Paese in guerra e circa 473 milioni - più di un bambino su sei - vivono entro 50 chilometri da scontri armati.
In occasione della Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza, che si è celebrata ieri, l’Unicef ha ricordato che circa un miliardo di bambini sono in condizioni di povertà totale; oltre 300 milioni vivono in famiglie estremamente povere, sopravvivendo con meno di 2,15 dollari per persona al giorno; circa 400 milioni sotto i 5 anni subiscono regolarmente aggressioni fisiche o punizioni corporali a casa; più di un miliardo di minori vive attualmente in Paesi che sono a “rischio estremamente elevato” per gli impatti del cambiamento climatico. Ogni quattro minuti, da qualche parte nel mondo, un bambino viene ucciso da un atto di violenza. Poi ci sono le conseguenze dei conflitti: la fame, la perdita dei genitori, l’abbandono della propria casa, la ricerca di salvezza, l’immigrazione: 400 milioni di vittime innocenti vivono o fuggono da zone di conflitto. Continuare con le cifre può sembrare una litania, ma le cifre a volte ci interrogano. A livello mondiale, secondo il Global hunger index, l’indice mondiale della fame, curato da Cesvi, 148 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita, 45 milioni sono deperiti e quasi 5 milioni muoiono prima di aver compiuto cinque anni, ovvero l’equivalente dell’intera popolazione italiana di età compresa tra zero e 10 anni.
La malnutrizione infantile è infatti strettamente correlata a quella materna e sono oltre nove milioni le donne e ragazze che soffrono di malnutrizione acuta in gravidanza e durante l’allattamento, con gravi danni per la salute dei neonati, come si può immaginare. Dall’Indice globale della fame del Cesvi emerge, inoltre, che in 27 Paesi i livelli di arresto della crescita sono così alti da avere una rilevanza molto preoccupante per la salute pubblica: la situazione più grave si registra in Burundi, Yemen e Niger, dove circa la metà dei nati subisce un ritardo nel normale sviluppo a causa della malnutrizione. Altro che fame zero, l’obiettivo dell’Onu da realizzare entro il 2030. Questo mondo infame preferisce le guerre nazionaliste. E intanto in Somalia, Niger, Nigeria, Ciad e Sierra Leone un bambino su dieci non supera i cinque anni di vita.
E in Italia? Siamo davvero ovunque così fortunati? Le divisioni tra Sud e Nord si fanno sempre più marcate. La fame per i bambini esiste anche in certe periferie del Meridione. La migrazione dei bambini affetti da tumore, che dal Mezzogiorno e dalle isole si spostano verso altre regioni per curarsi è del 59,6%. Senza contare le differenze regionali rispetto al numero dei posti letto in terapia intensiva pediatrica. In Sardegna ad esempio si è costretti al ricovero in quelle destinate agli adulti. Si cresce in fretta, se si è malati in Sardegna.
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