L’ignoranza crassa dentro i partiti

Dopo le giornate schizofreniche di Ventotene si sentiva la necessità di sciacquare nel mare del silenzio i panni sporchi di un “manifesto” dell’ignoranza diffusa laddove si dovrebbe pretendere il minimo sindacale di conoscenza storica e di capacità critica. Da tempo ho smesso di illudermi davanti a zappatori dell’orto politico convinti che il gelso produca l’uva. Balbettano con le tabelline quando i problemi richiedono i logaritmi.Altro che sciura Maria e casalinga di Voghera, il livello è ormai rasoterra come sentenziava il Pazzaglia del circo notturno di Renzo Arbore. Io ho incontrato e visto da vicino plotoni di amministratori, parlamentari, uomini di partito, ricavando un’antologia di bestialità che tuttavia erano accompagnate dal desiderio di imparare, di migliorare, di essere all’altezza del compito assegnato da un voto popolare e perciò da onorare mettendosi al servizio dei cittadini.

Il massacro del congiuntivo ha sempre abitato la vita pubblica, il salto di qualche secolo nella collocazione di eventi ha fatto strame della storia e da Camera e Senato, direttamente o via chat, piovono idiozie e volgarità indegne del ruolo e del galateo istituzionale. Gli spunti si sprecano come quella volta che suggerii a un amico in carriera, in folgorante e imprevedibile ascesa, di leggersi qualche libro e me lo ritrovai un mese dopo ad annunciarmi gaudioso che si era letteralmente bevuto due saggi di Socrate : quando gli ricordai che il filosofo della cicuta non aveva mai vergato neppure una virgola, giurò che forse si trattava di un omonimo e promise di mostrarmi l’opera.

Ovviamente lo sto ancora aspettando e continuo ad accontentarmi di Platone.

Spigolando tra il secolo scorso e il terzo millennio vi rendo partecipi di due esempi di crassa ignoranza.

Il primo, tenero e innocuo, si consumó in una sezione democristiana della Brianza dove avevo illustrato una tesi congressuale, dedicando un pensiero al segretario locale del partito scomparso in quei giorni. Il suo vice mi apostrofó: «Non bastano le belle parole, caro Calvetti, non sai che Antonio ha dato trent’anni di vita al partito nonostante avesse un diabete che i nostri diabeti messi insieme non farebbero il suo».

Non osai replicare, ma capii perché tra democristiani ci si chiamava amici e non compagni, non sempre in una accezione maliziosa e ipocrita.

Il secondo, che ancora mi scandalizza, risale a una provocazione di un lustro fa sceneggiata dalle “Iene”. Sull’uscio di Montecitorio chiesero a cento deputati quanti fossero gli articoli della Costituzione ( 139 ) e solo dieci di loro centrarono il numero, mentre gli altri, anche nomi conosciuti, oscillavano tra il trenta e il novanta.

Non penso che il livello sia ora salito e insisto nella “pretesa” che chi rappresenta la cosa pubblica debba superare un test d’ingresso visto che si richiedeva per accedere alla facoltà di medicina, con migliaia di domande comprese quelle sul Festival di Sanremo.

Scendendo giù per li rami dell’analfabetismo degli “eletti” si possono pescare perle che giustificano la sfiducia nelle istituzioni prima ancora che intervenga la dimensione politica.

Per non deludere chi si aspetta la chiave locale, ricordando che fra un anno si procederà al rinnovo del comune di Lecco, uno degli errori più diffusi l’ho colto, lungo mezzo secolo, ascoltando consiglieri definire legislatura il periodo che invece si chiama mandato o consiliatura: tipo quell’assessore che deliberando sulla piantagione di fiori garantì solennemente che sarebbero durati per l’intera legislatura.

Guizzando tra strafalcioni e asinerie mi viene da suggerire, in vista dell’appuntamento del 2026, di esaminare i candidati delle varie liste in nome di una selezione che lasci alle loro dimore gli scappati di casa, ma ho ragione di credere che la mia aspirazione si riveli un’utopia giovanile.

Fra l’altro non dimentichiamo che nella riffa delle preferenze tendono a prevalere i voti clientelari, familistici, corporativi, più d’interesse che di passione.

Tra l’altro vale la pena di rammentare che i partiti storici si sono quasi estinti e un farmacista conta di più, in termini di consenso, di un segretario cittadino.

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