Più si allungano i tempi degli arresti domiciliari di Giovanni Toti più le dimissioni da governatore della Regione Liguria diventano probabili. E più ci avviciniamo alla data delle elezioni europee di giugno, più il centrodestra può pagare nelle urne l’ennesimo scandalo politico-affaristico che già fa parlare di “nuova Tangentopoli”.
Anche un esponente ligure assai vicino a Toti, il leghista Edoardo Rixi, deve ammettere che la “reggenza” che attualmente tiene in piedi la Regione non può durare in eterno, e queste parole rendono evidente che nella maggioranza locale e nazionale sta crescendo la pressione sull’ex delfino di Berlusconi perché liberi il campo e alleggerisca così la polemica politica cercando di limitare i danni elettorali.
Del resto, questo è stato sin dall’inizio l’orientamento ufficioso che trapelava dagli ambienti più vicini a Palazzo Chigi dove si vive la tensione per una gara, quella delle europee, determinante per gli equilibri politici per il resto della legislatura.
È vero che Toti non è certo un militante vicino al partito della premier e semmai è un “azzurro” più vicino alla Lega, ma il danno che le sue vicende possono creare è complessivo. E poi c’è un altro aspetto che rileva sempre Rixi: la Liguria è piena di cantieri del Pnrr, una paralisi in regione li può bloccare e far saltare uno dietro l’altro come birilli, senza contare l’effetto di fuggi-fuggi che potrebbe contagiare le imprese di fronte agli appalti pubblici: “Basta una cena elettorale per finire nel tritacarne?”, questa è la domanda che gira tra gli imprenditori, non solo liguri.
Sull’altro fronte, le opposizioni, dal Pd al M5S, è forte la richiesta di immediate dimissioni di Toti e voto anticipato, nella speranza di riuscire a far tornare la Liguria nell’area di influenza della sinistra. Si ricorderà che fu proprio la divisione tra i candidati del centrosinistra (scese in campo Sergio Cofferati contro Raffaella Paita) che consentì a Toti di conquistare un ex fortino “rosso”. Che oggi, proprio grazie allo scandalo, potrebbe tornare ad essere contendibile, e non tra due anni, ma subito.
Questo di Genova sembra diventato il tormentone principale della campagna elettorale una volta esaurita la sequela di polemiche sulla candidatura di leader che non andranno mai al Parlamento europeo perché impegnati a Roma al governo o alla guida di un partito, questione che coinvolge sia Giorgia Meloni che Elly Schlein, ma anche Antonio Tajani, Carlo Calenda, Matteo Renzi. Non Salvini e nemmeno Conte, rimasti fuori della contesa. Tutti loro però protestano – chi ad alta voce, chi più discretamente - perché l’atteso duello Meloni-Schlein nello studio di “Porta a Porta” finirà per polarizzare lo scontro tra FdI e Pd, un obiettivo che torna assai comodo sia alla presidente del Consiglio (per limitare l’iniziativa della Lega ma anche l’inaspettata crescita di Forza Italia) sia alla segretaria del Nazareno che deve contenere il tentativo di Conte di monopolizzare l’opposizione.
Ultimo elemento di giornata: la visita di Ursula von der Leyen a Roma nell’ambito della sua campagna elettorale per farsi rieleggere presidente della Commissione europea.
Quella che sembrava la candidata numero uno di Meloni per la reinvestitura non è stata ricevuta a palazzo Chigi, cosa che sembra assai bizzarra dopo tanti, cordialissimi incontri tra le due esponenti. Ursula è stata sì accolta da Forza Italia ma anche qui senza troppo spettacolarizzare la sua presenza romana: segno eloquente che nel Ppe si vanno muovendo molte cose e che i Conservatori di Meloni hanno deciso di lasciarsi le mani libere per quella che si annuncia come una partita assai complicata.
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