«Noi facciamo un lavoro complementare». L’ha detto Emmanuel Macron durante la conferenza stampa seguita ai lavori del summit dei “volenterosi”, ovvero i 31 Paesi che si sono impegnati a restare al fianco dell’Ucraina e che per la seconda volta, 27 marzo, si sono ritrovati a Parigi.
La frase del presidente francese riassume, purtroppo, un’amara verità: l’Unione Europea e il Regno Unito stanno andando al traino dell’iniziativa americana, di cui subiscono tempi e metodi, e c’è pochissimo che possano fare per cambiare la situazione. La proposta più concreta uscita da quest’ultimo incontro è quella di una forza militare “di rassicurazione” da insediare in Ucraina, proprio per garantire il Paese da ulteriori aggressioni russe. Detto così suona bene. Però è nei particolari che si annida il diavolo, e infatti… La forza sarà dispiegata in Ucraina solo quando sarà firmata una pace che, a quel punto, sarà una pax americana. Sarà composta solo da chi ci sta, e Paesi come Italia, Spagna, Germania e persino la super antirussa Polonia hanno già detto che non ci staranno. Verrà sistemata non sulla linea di contatto, ovvero laddove gli accordi faranno cadere la fine dei combattimenti, ma nelle retrovie. E, si badi bene, non si parla più della Nato (che ha come maggiore azionista gli Usa e quindi non poteva impegnarsi) e nemmeno della Ue, ma, appunto, di un gruppo più o meno largo di Paesi che dovranno tra l’altro accettare la guida del duo Macron-Starmer, leader degli unici Paesi (Francia e Gran Bretagna) che, sul continente, sono dotati di armi nucleari.
Difficile non notare la vena di velleitarismo che scorre in questa specie di progetto, considerato anche un altro fatto: il Cremlino firmerà una pace solo se vedrà soddisfatte le condizioni che ritiene necessarie, ovvero se avrà ottenuto tutto o gran parte di ciò che vuole. A quel punto, quindi, perché dovrebbe riaggredire l’Ucraina? E quindi a che servirebbe la “forza di rassicurazione” accomodata nelle retrovie? Com’è ovvio, dal summit parigino è uscito anche altro. L’idea che Vladimir Putin non voglia davvero la pace, ma stia traccheggiando per fiaccare il più possibile l’Ucraina. E che quindi sia prematuro anche solo parlare di una riduzione o eliminazione delle sanzioni contro la Russia. Sono conclusioni ragionevoli, anche se partono dal tuttora inconfessabile presupposto che la Russia sia (o si senta, che all’atto pratico è la stessa cosa) in vantaggio sul campo e non abbia alcuna fretta di smettere di combattere.
Mentre i Paesi d’Europa cercano con un certo affanno di chiarirsi le idee e ritagliarsi un ruolo di fronte all’aggressività del trumpismo, minaccioso sul fronte del dialogo con la Russia come su quello dei dazi commerciali, non può che destare ammirazione l’abilità manovriera con cui Volodymyr Zelensky cerca di ottenere il massimo per il proprio Paese e, nel contempo, evitare di farsi schiacciare dalle pretese della Casa Bianca. Alla fine di febbraio, quando ci fu il clamoroso litigio con Donald Trump, molti parlarono di un errore tattico di Zelensky o di un agguato tesogli dal presidente Usa. In realtà, fu proprio Zelensky a giocare un tiro mancino a Trump, che si aspettava di firmare il famoso accordo sulle terre rare mentre Zelensky, prima di impugnare la penna, voleva più serie garanzie per il futuro dell’Ucraina e per il proprio. Non va dimenticato che, a quel punto, gli americani gli avevano già intimato di tenere elezioni presidenziali e politiche entro l’anno, manifestando così con chiarezza il desiderio e la speranza di vederlo uscire di scena.
Zelensky sa che quell’accordo non serve a Trump per ottenere i famosi 500 miliardi, visto che nessuno sa con precisione quale valore abbiano i giacimenti ucraini, ma per piantare la bandiera Usa sull’Ucraina, legarla alla propria orbita e lasciare l’onere di difenderla agli europei. Per questo Zelensky non firmò allora e non ha tuttora firmato. Nello stesso tempo, cerca di guadagnare tempo e spazio diplomatico giocando gli europei contro gli americani, sfruttando la preoccupazione delle nostre capitali per ottenere aiuti (quelli che la Casa Bianca già voleva interrompere) e una qualche forma di contenimento nei confronti di Trump. Niente male per colui che, ancora di recente, è stato definito “solo un comico mediocre”.
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