Nove novembre 1989. Ci sono date che segnano dei veri spartiacque nella storia dell’umanità. Trentacinque anni fa è finito il “secolo breve” (il Novecento), quello delle ideologie, del sangue e delle guerre; iniziava un’epoca piena di speranze per il futuro in cui si ponevano le fondamenta dell’attuale globalizzazione.
Il crollo del Muro di Berlino ha rappresentato, dopo secoli, la conclusione dei conflitti fratricidi europei. Il Vecchio continente poteva così riunirsi pacificamente attorno ad un comune progetto di convivenza civile in cui pace, diritti e democrazia erano il punto di riferimento.
«Non ce ne siamo accorti che stava crollando un mondo», ci raccontò Stefan, un amico tedesco che viveva allora in un quartiere periferico di Berlino. Non facemmo fatica a credergli. Due mesi prima, in agosto, attraversammo il Muro e visitammo Berlino Est. Che differenza tra l’Est e l’Ovest della città! In piccolo osservammo una realtà quasi funzionante rispetto a quanto avevamo visto per mesi a Mosca. Nei supermarket ben tre tipi di formaggio si potevano acquistare; la gente ritirava i soldi dai bancomat; i giovani salivano sulla torre della televisione per passare le serate guardando la vita nell’Ovest capitalista. Nulla dava l’idea che quella realtà artificiale e innaturale stava arrivando al capolinea.
In precedenza, nella primavera dell’88, avevamo conosciuto a Mosca delle studentesse tedesche orientali, che per un semestre – temendo le infiltrazioni della loro famigerata polizia politica (la Stasi) - continuavano ad affermare che la loro era una cultura diversa e non avevano nulla in comune (anche etnicamente) con i tedesco-occidentali.
Solo alla fine di quel periodo di studi, alcune di loro – tenendosi lontano dalle compagne – ci avevano confessato il loro inferno.
Nell’estate dell’’89 nessuno poteva immaginare che sarebbe finita in una mega-festa di popoli e non nel solito immane bagno di sangue. Mezzo milione di soldati sovietici erano dislocati in Germania Est. Sarebbe bastato un ordine dal Cremlino e sarebbe finito come a Berlino nel 1953, a Budapest nel 1956, a Praga nel 1958. Gorbaciov, invece, lasciò che gli eventi facessero il loro corso.
Ma quali sentimenti e valori di quell’incredibile 9 novembre 1989 sono rimasti nelle società dei Ventisette? In quelle “ex satelliti” dell’Urss - aderenti all’Ue nel 2004 - il ricordo dell’acquisizione delle agognate libertà è fresco; la democrazia e i diritti, è laggiù palese, non sono un qualcosa di scontato. Nelle altre società, ossia in quelle più lontane dai confini Est dell’Ue, è diverso; qui il populismo e il relativismo hanno preso spazio; si è persa la comprensione che certe conquiste non sono eterne, ma serve continuare a difenderle.
Soprattutto oggi che il colonnello del Kgb – in servizio a Dresda in quei giorni dell’89 – ha riportato indietro le lancette della storia dalla sua poltrona del Cremlino il 24 febbraio 2022. Quel mondo, allora sconfitto, ha oggi fatto registrare un pericoloso colpo di coda.
E l’Unione europea, volutamente nata non Potenza – ma comunità democratica di diritti e di libertà – è adesso costretta a trasformarsi in qualcosa diverso a quanto idealizzato dai Padri fondatori.
«Sono tedeschi orientali, gente con mentalità sovietica», commenta sempre Stefan 35 anni dopo, spiegando il perché dell’affermazione degli estremisti di Alternative für Deutschland (AiF) nell’ex Ddr.
Che percorso il passaggio da un’ideologia comunista a una filo-nazista. Il mondo si è capovolto. La Germania, lanciata verso le elezioni anticipate, ha davvero la febbre alta.
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