Lecco verso il voto: il ruolo dei civici

Cresciuto a pane e scudo crociato (la Democrazia Cristiana, per intenderci) garantisco che la spartizione fluida degli sgabelli del potere locale somiglia alle briciole sbattute dalla tovaglia dopo un pasto frugale ad onore dei piccioni. Là si contendevano ministeri, posti chiave nelle aziende di Stato, banche, qui un anonimo incarico in comunità Montana, in un parco, in una “partecipata”. La lottizzazione era sublimata ad arte e la distribuzione del bottino coinvolgeva l’opposizione che in Parlamento ricambiava votando la più parte dei provvedimenti. Quando dirigere il traffico a Montecitorio toccò a Giulio Andreotti, vestito da capogruppo della DC con Aldo Moro premier, circa il 70% delle leggi veniva approvato quasi all’unanimità.

Ci sono esempi di compromessi (prima e dopo quello storico) rispetto ai quali le baruffe, le comparsate e i teatrini di oggi non sono all’altezza delle sceneggiate di Mario Merola, e sono distanti come la filodrammatica di Erve (se ci fosse) dalla Prima della Scala. Il gusto del potere è ben rappresentato dall’esultanza smisurata del filiforme Piero Fassino, segretario dei DS (ora ribattezzato grissino al profumo d’aeroporto): “Abbiamo una banca”, mandando a farsi fottere con quell’urlo Unipol, il Capitale di Marx, la classe operaia e il proletariato.

E per par condicio come dimenticare il ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin, il più sinistro degli scudocrociati e insieme il più anticomunista (non è un ossimoro) che minacciò di far saltare il governo perché le più pingui correnti di partito (se ne contavano sette nei tempi di magra e di simil-unità) si erano pappate i dicasteri di grido e di portafoglio. Venne convinto e tacitato dal fatto che la presidenza di una banca finisse a uno dei più fedelissimi seguaci della sua corrente, Forze Nuove.

Se tocco questi tasti va a finire che chiedo al direttore qualche intera pagina del nostro giornale perché ne ho davvero viste, lette, vissute di cotte e di crude. Punto perciò la bussola sul piano locale, che offre spunti sorprendenti e grotteschi, pur sapendo che passo dal Milan degli olandesi ai panchinari del Bisceglie. L’ultima capitata di fresco è la dabbenaggine in casa Pd. Cosa stanno combinando? Una volta custode delle regole sintattiche della politica, appare oggi in città di Lecco privo di qualsiasi nostromo. Quale senso può avere, in previsione delle elezioni comunali in primavera 2026, questo feeling continuo con i meloniani locali?

La corrispondenza di amorosi sensi è stata messa a verbale sul nuovo cda di Linee Lecco, sul sostegno a Fasoli (Lecco non è in assemblea, ma certamente esercita influenza) per la Comunità Montana, a Bezzi sul parco del Barro, e chi più ne ha più ne metta. Un fidanzamento dove è chiaro cosa il Pd possa aver concesso a Fratelli d’Italia, meno chiaro cosa FdI stia offrendo ai dem.

Qual è il senso della contrapposizione frontale con i civici di Antonio Rusconi (e per proprietà transitiva con Corrado Valsecchi, Virginio Brivio, Francesca Bonacina, il mondo cattolico di sinistra, e la rete di contatti del ‘prevosto’ di Valmadrera) che dovrebbero invece essere coccolati in previsioni delle comunali? E se Rusconi si arrabbia davvero e si propone come terzo candidato? Ovvio che pescherà più nel bacino di Gattinoni che in quello delle destre.

Senza contare che prima o poi Fdi, almeno formalmente, sarà costretta a schierarsi contro il sindaco di Lecco. Magari anche indicando un candidato tra le sue fila post-fasciste. Ragion per cui, mi risulta incomprensibile l’attuale strategia dem. L’oggetto del contratto che li teneva assieme (fare la festa a Mauro Piazza e lasciare Gattinoni altri cinque anni a Palazzo Bovara) ha cessato di esistere, perché Piazza (molto più vecchio del mestiere) ha salutato tutti e li ha “spiazzati”.

E adesso? Quando il Gatto capirà che cercheranno di metterlo in padella come si faceva in Veneto al posto dei conigli? Volente o nolente, a quel punto, sarà proprio il suo amico Zamperini ad accendere i fornelli. Buona la strategia dei lavori pubblici conclusi in vista delle urne. Bene la preoccupazione per l’operazione simpatia. Ma quando inizieranno a fare i conti dei pezzi che hanno perso? Qui serve la matematica di base per capire in un attimo di essere sotto. Quando il Pd capirà di essere fuori rotta e dover quindi ricucire con i mondi (proprio dei civici) ai quali oggi sta martellando in testa per fare gli occhi dolci ai fratellini d’Italia?

A meno che ci sia qualcosa che ci sfugge, direi che urge ritrovare bussola, rotta e nostromo.

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