Editoriali / Lecco città
Mercoledì 03 Luglio 2013
Lecco: l’export
salva le aziende
Alessandro Frigerio guida l’azienda di famiglia: «Il distretto ha perso forza e molte competenze»
«Vendere sui mercati esteri non è facile: servono programmi e una mentalità molto elastica»
Alessandro Frigerio, a capo della Frigerio Ettore di Lecco che fa stampaggio lamiera per conto terzi e minuterie metalliche, lavora soprattutto per l’automotive, dà un giudizio senza sconti sul distretto metalmeccanico lecchese.
All’indomani della pubblicazione del Monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo secondo cui il distretto lecchese è fra i pochi che nel primo trimestre 2013 segnano una lieve crescita di export (+1,4%) l’imprenditore, fortemente internazionalizzato, dice che in realtà «il nostro distretto si sta impoverendo. Fino a un po’ di anni fa – aggiunge - chi lavorava col ferro trovava a Lecco tutto quel che serviva. Oggi, se ho bisogno di fornitori o servizi devo fare le mie ricerche al di fuori del territorio perché molti hanno chiuso. Il Lecchese ha perso parecchio, soprattutto nelle persone, che sono il cuore di ogni attività, ed è anche perciò che c’è grossa difficoltà nel trovare operatori specializzati con esperienza. Sembrerebbe che le nuove generazioni non mirino a costruirsi una professionalità specifica».
Se gli diciamo che nei tempi in cui il lavoro non c’è i ragazzi non possono vedere un futuro risponde che «per certe figure professionali questo non vale. Le figure specializzate hanno sempre uno spazio di riguardo e difficilmente restano senza lavoro».
Frigerio Ettore, oggi alla terza generazione, ha fatto scelte coraggiose innovando e andando all’estero anni fa. Scelte dettate da una filosofia aziendale maturata lavorando coi grandi marchi delle auto e che l’imprenditore ha assorbito in una concezione integrale del suo stare nel mondo come persona, come imprenditore e come cittadino contribuente. «Il lavoro con l’estero – dice – non può essere una strada da prendere all’ultimo momento quando ti accorgi che non arrivano più ordini. Per andare nel mondo servono programmazione e una mentalità molto elastica. Noi, dalla Turchia all’Est Europa, alla Germania, alla Francia, alla Romania ci siamo adattati alle varie esigenze dei clienti. Inoltre – aggiunge – l’estero comporta una gestione del proprio tempo anche in termini di sforzo aggiuntivo per la cura di quello che ci si lascia dietro nella propria azienda».
Frigerio spiega che l’aspetto positivo del contatto con l’estero è che, da imprenditore, vede cose che vorrebbe applicare al rientro in Italia, salvo rendersi conto che esistono difficoltà oggettive: «Da noi gli imprenditori non sono visti, come in Germania ad esempio, come coloro che danno lavoro e insieme ai quali si cresce. Qui un imprenditore è prima di tutto quello che sfrutta gli altri, e su questa base tutte le relazioni poi risultano falsate. La crisi ha fatto il resto, perciò penso che sarà difficile per il mercato e per il Paese risollevarsi. Credo che l’Italia – dice - sia fortemente in pericolo, e non parlo della situazione politica. Parlo della nostra cultura arretrata su concetti da anni Sessanta che non ci fa reggere il paragone con altre economie vicine».
E chiarisce che l’estero «non è solo competitivo per una questione di basso costo del lavoro, ma per l’insieme di fattori che compongono la mentalità del Paese, dalle leggi alla burocrazia, alla rigidità e specialmente la voglia di reagire al cambiamento e di mettersi in gioco in prima persona». n
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