Le zucche (vuote) che girano per la città

Qualcuno dei miei venticinque lettori (non uno meno del Manzoni, perbacco) ricorderà la personale crociata condotta tempo fa contro i maleducati della cicca per terra e gli scroccatori seriali di giornale al bar. Giudico entrambi gesti di menefreghismo e di intollerabile noncuranza, come se la stabilità della mattonella dove appoggio il piede non riguardasse né me né il mio sacrosanto equilibrio. A costo di ricevere l’etichetta del punzecchiatore da operetta, mi spingo a considerare altri prototipi di maleducazione urbana: figure che sommano una ‘zucca senza sale’ a un senso civico barbaro che parte dall’incuria con la quale si occupano dei vasi di fiori sul terrazzo o del parcheggio selvaggio nel cortile comune, dando vita a vere e decennali liti condominiali, che quando si incontrano in ascensore si girano le spalle.

Mi è ad esempio incomprensibile l’attitudine di certi parcheggiatori da strapazzo per le vie di Lecco. Proprio qualche giorno fa, risalendo dal centro di Lecco verso l’amata Olate (che ospita, tra le sue vie anche la sede del nostro gruppo Enova) non ho potuto fare a meno di notare il costume ormai tipico dei frequentatori del cimitero di Castello. Una bella sfilza di auto lasciate in sosta in mezzo alla strada che affianca l’ingresso laterale. Qualcuna girata verso la salita, qualcun’altra addirittura contromano, e tutte con le quattro frecce lampeggianti, come a dire “tutto bene, ora arrivo”. Ovviamente, il flusso di auto in salita è costretto a fermarsi, affacciarsi prudentemente sulla carreggiata opposta rischiando un frontale, e avviarsi poi nuovamente per la propria strada.

Un comportamento del resto molto simile a chi ancora si ostina ad attendere amici e parenti sul marciapiede a lato o dirimpetto il Comune. Per carità, posso capire che una stazione alla quale è stato privato un accesso in auto sia come un binario morto, ma può mai essere l’arroganza l’unica risposta concepibile al non-sense di certe regole viabilistiche?

A proposito di non-sense, sono certo che capita spesso anche a voi lettori di transitare da corso Martiri e viale Turati. Invierò presto una missiva ai vertici Fia per considerare l’idea di un Gran Premio di Lecco: i circuiti cittadini sono diventati un business in ogni angolo del globo. Sarebbe perfetto e spettacolare sfruttare le decine di chicane naturali create dalle auto in doppia fila e dai furgoni dei corrieri che non hanno altro spazio per fermarsi se non in strada. Uno a destra, uno a sinistra, uno a destra, uno a sinistra, ed ecco che il placido torpedone viabilistico diventa una zigzagante processione di qua e di là dalla carreggiata.

Se a qualcuno venisse il dubbio che io ce l’abbia solo con le quattro ruote, mi premuro di rassicurarlo. Le due ruote sono pure peggio. Posso chiudere un occhio verso i ciclisti che viaggiano con serena noncuranza in mezzo a viali e arterie nei quali io faticherei a muovermi a piedi. Certo, signori miei, che avete diritto a usare in tutta sicurezza il vostro mezzo di trasporto ecologico. Ma, vi domando, laddove sicurezza non c’è, perché ostinarsi a sfidare il traffico tentacolare? Come detto, però, non è questo il vero problema.

Mi preoccupa assai di più la prospettiva di poter transitare incolume tra le vie del centro. Da qualche tempo, ho infatti dovuto mio malgrado diventare più lesto di un ninja e più intuitivo di un Marine in Vietnam. Perché, dal nulla e in qualunque punto delle vie centrali di Lecco, può sopraggiungere il ronzio tremendo di un monopattino. E allora conviene davvero mostrare riflessi pronti, scansarsi, cedere il passo, dal momento che gli infernali aggeggi a due ruote portano spesso e volentieri il peso di ben pasciuti ragazzoni (evidentemente poco inclini alla sublime arte della passeggiata) e di teste poco riempite di pensieri civili, se è vero che sfrecciano noncuranti con il rischio di travolgere chiunque capiti in traiettoria. Come peraltro è accaduto non più tardi di qualche giorno fa in piazza Garibaldi.

In definitiva, cosa propongo? Regole, multe, sanzioni, videocamere? No, troppo complicato e costoso. Non sono nemmeno certo che servirebbe. Invoco, al contrario, una dose di quelle belle e sublimi nerbate che ai miei tempi si rifilavano ai palmi delle mani e ad altri luoghi meno visibili. La Montessori era una gran donna, la quintessenza del metodo educativo ma io, devo ammettere, resto sempre un sostenitore della vecchia scuola, soprattutto con i maleducati cronici, quelli che, come saluto, conoscono solo il gesto dell’ombrello.

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