Le promesse di starmer alla prova delle scelte

La Gran Bretagna ha votato e, come da tutti abbondantemente previsto, i laburisti sono stati trionfalmente richiamati al governo del Paese. Il premier conservatore Sunak aveva tentato la mossa disperata delle elezioni anticipate, diciamo alla Macron ma con meno speranze. Il risultato ha mostrato quanto disperata fosse quella mossa: i laburisti di Keir Starmer hanno ottenuto 412 seggi sui 650 totali, arrivando così alla maggioranza assoluta. I tory sono crollati a 121 seggi, perdendone 244, la peggiore disfatta del partito dalla fondazione nel 1834, arrivata dopo 14 anni consecutivi di governo e cinque primi ministri. A pugnalarli al cuore sono stati i misfatti dei loro cinque primi ministri: Cameron con il referendum sulla Brexit, Theresa May con l’incapacità di chiudere l’accordo sull’uscita dalla Ue, Boris Johnson con i suoi scandali, la Truss cacciata dopo 40 giorni per manifesta incapacità e infine Sunak. Ma anche la rivolta a destra di Nigel Farage con il nuovo partito Reform Uk, che grazie (o a causa) del sistema maggioritario puro ha ottenuto solo quattro seggi ma ha raccolto 4,1 milioni di voti.

Il sistema elettorale pesa molto anche nel giudizio politico sul risultato. In estrema sintesi: il Partito laburista è riuscito a trionfare pur avendo aumentato di poco i suoi voti. Da questo punto di vista non sono state certo stracciate le quote raggiunte a suo tempo dal più radicale Jeremy Corbin, il cui ricordo Starmer ha cercato in ogni modo di cancellare. Di fatto, è stato soprattutto il Partito conservatore ad accasciarsi su se stesso, sfiancato da una stagione post-Brexit piena di rimpianti e di difficoltà che lo consegna a una lunga attraversata del deserto, visto che tra l’altro Sunak ha annunciato le dimissioni dagli incarichi di partito e bisognerà trovare un nuovo leader.

Come si diceva, quella laburista è stata una vittoria annunciata, cosicché Starmer ha potuto annunciare subito la sua squadra di governo, dove spiccano le novità di Angela Rayner, numero due del partito e ora vice-premier, e soprattutto di Rache Reeves, ex economista della Banca d’Inghilterra e ora super ministro all’Economia (cancelliera dello Scacchiere, per dirla all’inglese), incarico mai prima assegnato a una donna. Nel suo primo discorso, Starmer ha parlato di cambiamento e di ricostruzione del servizio pubblico, un tasto dolentissimo per il governo Sunak, costretto a numero si tagli di bilancio. E poi, significativamente, ha promesso di «unire il Paese». Da questo punto di vista il nuovo premier ha preso atto di un altro aspetto di questo voto che aspetta di essere meglio decifrato. Lo Scottish National Party, il movimento autonomista scozzese, ha subito un tracollo secondo solo a quello dei conservatori, il che ovviamente sarà un vantaggio per ilgoverno centrale. Ma in Irlanda del Nord il Sinn Fein, il partito cattolico nazionalista che si batte per la riunificazione dell’isola, è cresciuto fino a superare il Democratic Unionist Party, che sostiene invece l’unione alla Gran Bretagna. Il che non può piacere a Londra.

Il resto, al momento, è soprattutto promessa. Dalla Brexit Starmer ha tratto la conclusione che la svolta «a destra» della società inglese fosse in qualche modo irreversibile e che andasse affrontata spostando il più possibile al centro il Partito laburista. In economia predica la disciplina di bilancio, sull’immigrazione non ha certo fatto le barricate contro l’idea di deportare in Ruanda i migranti irregolari, per le tasse chiede aumenti limitati solo per la fasce sociali più ricche. Niente di speciale, insomma. Un po’ di Tony Blair riverniciato per tenersi alla pari coi tempi. E quanto alla Brexit, ha annunciato una nuova trattativa per rinegoziare con la Ue le condizioni, ma nulla di più. Accetta insomma il fatto compiuto.

Vedremo che cosa sarà con le prime decisioni concrete di governo. Alla fin fine, forse, il compito più importante che Starmer dovrà affrontare sarà quello di ricostruire un’identità britannica, che dalla Brexit in poi sembra un po’ sfumata. E in questo potrà forse giovargli la fama di “piacione”, di ottimo diplomatico e comunicatore che da sempre lo accompagna. Come inizio può anche bastare. Più avanti, chissà…

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