Una delle domande che nessuno ha posto su questa campagna elettorale che ha sancito l’estinzione delle piazze come luogo di confronto e propaganda politica e ha finito per favorire questa deriva inquietante segnata da contestazioni, violenze e scontri fisiche, è: non è che l’istituto del voto stia diventando vecchio e perciò prerogativa quasi degli anziani? Nell’epoca dei social, della comunicazione che viaggia alla velocità di una Ferrari in Formula Uno, in parallelo alla disinformazione e alle fake news, come si può pensare che i giovani siano attratti dal rito sacro finché si vuole ma un po’ stantio della vecchia scheda cartacea da compilare con l’arcaica matita copiativa per essere infilata in urne simili a reduci di tutte le guerre? Questo aspetto e la sfiducia in generale nella politica da parte di una generazione, quella dei cosiddetti “millennials” che acquisiscono in queste elezioni il diritto di scegliere i propri rappresentanti e che, per colpa di chi li ha preceduti non hanno fiducia quasi in niente, rischia di spostare sempre più verso gli anziani l’ago della bilancia elettorale. Un po’ perché chi ha memoria lunga conosce l’importanza del voto e i sacrifici anche estremi, che sono stati fatti per ottenerlo. E poi il voto per le generazioni più mature, è appunto, se non più una festa, com’era negli anni del dopoguerra dopo la lunga astinenza per il fascismo, un’abitudine.
Del resto le elezioni sono anche lo specchio di una società, quella italiana, dove i giovani se possono scappano e con ogni probabilità non votano neppure all’estero, e gli anziani sono costretti a restare.
Allora sono loro che decidono. E lo si vede anche dall’approccio dei partiti. Quelli che tentano - i Cinque Stelle soprattutto - di catturare il voto degli elettori junior propongono programmi su misura. Al contrario le forze più tradizionali (per eredità visto che ormai il partito italiano più vecchio ha poco più di 30 anni) come Pd, Forza Italia e LeU strizzano almeno uno dei loro due occhi ai “senior”. In mezzo si possono collocare Lega e Fdi che guardano in entrambe le direzioni, anche alla ricerca di quella vena populista che sembra ritrovarsi in parte dell’universo giovanile. La società comasca rispecchia il trend nazionale che registra un invecchiamento costante della popolazione per la crescita delle aspettative di vita, favorita qui da un sistema sanitario che regge ancora bene, e dal calo delle nascite. Ecco perché le “pantere grigie” possono essere determinanti nelle scelte. Insomma, come diceva Ugo Tognazzi onorevole golpista Tritoni nell’imperaggiabile pellicola monicelliana “Vogliamo i colonnelli”, “c’è un grande futuro nel nostro passato”, un paradosso che rischia di rappresentare la chiave per la vittoria elettorale. Sarà per questo che le pensioni più che l’occupazione giovanile sono una costante dei programmi e delle promesse? E sarà questa la ragione del breve ballo del professor Monti sul palcoscenico della politica dopo essere approdato a palazzo Chigi senza passare dalle urne e aver dovuto operare un intervento sanguinoso sulla previdenza? Del resto, la nostra è una società che ha negli anziani uno dei suoi principali pilastri. Poiché hanno vissuto nell’epoca del benessere e delle certezze, hanno pensioni spesso robuste e sempre garantite: sono loro che aiutano figli e nipoti a fronteggiare crisi e disoccupazione.
Se il voto, come istituto e modalità, è qualcosa di vecchio, la terza età diventa determinante, almeno in attesa che si trovino forme più coinvolgenti per gli under che, non a caso, i sondaggi segnalano come la fascia a più alta percentuale di astensione.
C’è solo da augurarsi che, al contrario degli anziani della poetica canzone di Francesco Guccini, “Il vecchio e il bambino”, gli elettori sappiano distinguere “il vero dai sogni”. Perché con questa campagna elettorale...
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