Adesso lo accuseranno di disfattismo e di minare la determinazione occidentale, quella dei buoni contro i cattivi. E non ci sarà da stupirsi se qualcuno arriverà ad additarlo al disprezzo, ingenuo o addirittura complice, marchio di infamia sulla veste bianca solo perché ha chiesto di negoziare la pace in Ucraina e in Medio Oriente e di trovare un compromesso. Accadde già con Benedetto XV oltre cento anni fa quando denunciò «l’inutile strage». Eppure le parole di Papa Francesco in Lussemburgo indicano l’unica soluzione possibile: «oneste trattative» e «onorevoli compromessi». Sono parole precise e inequivocabili, come mai la Santa Sede ha detto finora e sono parole necessarie, ora che i due conflitti possono avvitarsi e scivolare insieme pericolosamente verso un livello più drammatico con l’evocazione di scenari terribili. Il Segretario di Stato Pietro Parolin due giorni fa all’Onu aveva denunciato l’erosione della fiducia tra le Nazioni e la conseguente escalation dei conflitti con la minaccia dell’arma nucleare. Bergoglio ieri ha aggiunto e precisato con parole perfette spedite a Zelensky e a Putin; a Netanyahu, a Hezbollah e ad Hamas; all’Unione Europea e all’America dei due candidati.
A Verona pochi mesi fa Francesco aveva sollecitato tutti a non diventare «spettatori della guerra». Ma nessuno lo ha ascoltato. Così ieri ha messo a fuoco il suo pensiero e ha fissato sulla carta l’unico percorso possibile per evitare che i pezzi dei conflitti si saldino. Con tale chiarezza mai lo aveva fatto. Il suo timore è che si rinunci alla pace, che si smetta del tutto di investire in diplomazia, che si ritenga il compromesso follia e tutte le cancellerie si adagino sull’accettazione passiva della guerra e la sua abilitazione come unico strumento politico. Non è un caso che la sollecitazione alla trattativa e al compromesso arrivi il giorno dopo l’esaltazione di Zelensky della «sua pace», la guerra fino alla vittoria, la firma del leader ucraino sulle bombe made in Usa destinate alla Russia, dopo la sprezzante risposta di Putin che evoca uno scenario nucleare seppur tattico, dopo l’altrettanto fiero annuncio di Netanyahu pronto all’invasione del Libano, i razzi di Hezbollah fino a Tel Aviv e l’angosciosa previsione di Biden circa la possibilità di una guerra su vasta scala.
Siamo di fronte ad una tenacia di tutti a continuare la lotta che spaventa. E in giro si coglie un unico solo pensiero: schierarsi. Da una parte c’è la dottrina che gli analisti chiamano dell’«inazione ottimale», che si traduce nell’invio di armi e i via libera ad usarle nella speranza che Putin ceda sul fronte ucraino. Sullo scacchiere mediorientale vale la stessa teoria, al di là degli appelli alla moderazione, al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. All’orizzonte si affaccia la «dottrina Trump», l’abbandono dell’Ucraina e del Medio Oriente con altrettanto pericolosi esiti.
In realtà nessuno cede e a tutti va bene così, perché, parole di Bergoglio, nessuno sente l’«impellente bisogno» tra coloro che «sono investiti di autorità» di impegnarsi in trattative, di impedire che la ragione impazzisca, di evitare «l’irresponsabile ritorno» agli «errori dei tempi passati aggravati da maggiore potenza tecnica». Si investe in armi, mentre la diplomazia sta alla finestra. La debolezza politica dell’Europa non è mai stata così evidente nel caos geopolitico globale. Ma solo un uomo al mondo indica i rischi che possono travolgere l’umanità intera se la pentola a pressione del disordine e della confusione si surriscalda ed esplode. In Lussemburgo ha provato a rovesciare il tavolo.
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