Le luci della ribalta sulla città senza cinema

Un pomeriggio di mezza estate di un lustro fa, incontro per caso in piazza Garibaldi, già in evidente stato di disgrazia, don Davide Milani, fresco di nomina a prevosto di Lecco. Ci conoscevamo già per vie professionali, ma senza esserci mai visti di persona: convenevoli e chiacchiere del più e del meno, a seguire riflessioni sulla città e sulla comunità che si accinge a guidare. Lecco è la culla di entrambi, anche se il don è di Valgreghentino e dopo gli studi e i primi mestieri è approdato ad altri lidi, vestito con la tonaca.

Dirò di lui più a fondo nel fondo che vorrò dedicargli con l’avvicinarsi del suo congedo (in queste ore ha ancora gli occhi lucidi e la voce roca per l’emozione).

Ritrovai allora la sua passione smisurata per il cinema, per l’arte, per la comunicazione e in un attimo, favorito da sponde amiche, metto in piedi un colloquio con l’ex presidente di Confindustria Lecco e Sondrio, Lorenzo Riva, protagonista attento e generoso delle questioni sociali (su tutte il rapporto tra scuola e lavoro). S’accende lì, in tempi rapidi, la lampadina del Film Fest che sfonda oltre i ponti e in questi giorni spegne i riflettori sulla quinta edizione. Da quel ciak è stato un crescendo, una semina e una raccolta che hanno proiettato Lecco sul grande schermo nazionale. Né va trascurato il contributo di Confcommercio che finanziò da subito un cineforum con soggetti di carattere sociale e legati ai segni della Pasqua e che riempì il Cenacolo francescano come non capitava da tempi immemorabili.

L’unico elemento un po’ surreale, se proprio vogliamo trovare una spigolatura diversa in queste vicende culturali, è vedere tanti lecchesi riassaporare solo in questi frangenti l’ebbrezza di una proiezione collettiva. Gettando qualche sguardo durante festival e cineforum pare quasi di toccare con mano la gioia incredula del lecchese medio, abituato un tempo al lusso di quattro o cinque sale cittadine (Nuovo, Mignon, Marconi e Capitol sono ormai nomi ignoti a chi ha meno di trent’anni) e che oggi si aggrappa alle proiezioni all’aperto come la manna in un deserto di poltroncine rosse.

Non dimentico certo il valore (tutto fondato su encomiabili volontari) del Palladium o del Nuovo Aquilone e, fuori città, le belle esperienze di Olginate, Caloziocorte, Galbiate e Bellano. Solo, vorrei capire cosa rende la nostra provincia tanto sgradita a chi investe sul settore della settima arte. Il piano di governo del territorio assegnava spazi ben precisi in città a una possibile multisala, ma nessuno ha bussato alla porta. Anzi, in parecchie occasioni l’invito è stato rispedito al mittente, con tanto di ricevuta di ritorno. La famosa multisala, insomma, è un soggetto che a Lecco non trova né produttori né sceneggiatori.

E pazienza se mia nipote è dovuta migrare fuori dai confini provinciali per gustarsi quel film di animazione, Inside out 2, che mi dicono essere campione di incassi, persino davanti al fenomeno Cortellesi di “C’è ancora domani”.

Da parte mia, ricordo ancora con trasporto quella stessa settimana nella quale, nel weekend, assistetti alla proiezione di “Riso amaro” con Silvana Mangano (un film del 1949) e, il mercoledì tornai al cinema Impero per ascoltare, a pubblico triplicato, l’intervento di Aldo Moro alla vigilia delle elezioni. Ecco, concludo constatando amaramente che per le sale cinematografiche in città neppure l’ombra,e che all’orizzonte politico non si scorgono neppure altri Aldo Moro o suoi eredi.

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