Le leggi per il voto servono solo al potere

Sono anni che sentiamo esponenti della classe politica – di pressoché ogni collocazione partitica – ripeterci che il problema dell’Italia sono la fragilità e l’instabilità dei governi. Premetto che io credo che la questione fondamentale della nostra democrazia costituzionale sia lo scollamento drammatico tra la partecipazione dei cittadini, singoli e associati, e la sfera pubblico-istituzionale; e che il compito di questa sia quello di incoraggiare e promuovere la partecipazione dei cittadini stessi. Volendo comunque prendere sul serio il tema della stabilità dei governi, nutro forti dubbi sulla sincerità delle intenzioni della classe politica. Vediamo perché. In tutti i libri di politologi e di esperti di legge elettorale, si legge da sempre che il sistema elettorale più efficace per garantire la formazione di maggioranze coese e, a ruota, di governi stabili è quello maggioritario, specialmente all’inglese (con collegi uninominali, a turno secco), o, in subordine, nella variante alla francese (con doppio turno e ballottaggio). Eppure, se vediamo la successione vorticosa e tormentata di leggi elettorali nel nostro Paese, troviamo la contraddizione di una classe politica che si lamenta della scarsa governabilità, ma che sforna leggi elettorali lontane da quel modello.

Abbandonato frettolosamente il Mattarellum (che per il 75% dei seggi era appunto uninominale), si è transitati al famigerato Porcellum, approvato nel 2005 dal centrodestra, che ha inaugurato il vizio dei sistemi proporzionali con abnorme premio di maggioranza e, soprattutto, con liste bloccate (senza preferenze). C’è voluta una controversa e coraggiosa sentenza della Corte costituzionale (la n. 1/2014) per porre fine allo scorrazzamento del Porcellum. La Corte ha scritto che quel sistema produceva «una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica (…) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare». Bene! Il centrosinistra a guida renziana che fa? Approva nel 2015 il cosiddetto Italicum, che è una variante di poco lontana dal Porcellum, anch’esso con premio di maggioranza e liste bloccate, tanto che la Corte costituzionale lo censura per analoghi vizi (sent. 35/2017).

La classe politica capisce la lezione? Più no che sì, se è vero che si approva il Rosatellum, da tutti disprezzato ma ancora vigente, che persevera nel vizio delle liste bloccate per i 5/8 dei seggi. E ora, nel progetto di riforma costituzionale del cosiddetto premierato, la nuova (forte e forse stabile) maggioranza di centrodestra addirittura vorrebbe inserire in Costituzione la base di un sistema elettorale con premio di maggioranza… Perché questa insistenza su un sistema elettorale così opaco che, a differenza del proporzionale, manipola le maggioranze; e, a differenza del maggioritario, regala un bonus di seggi anziché promuovere la competizione nei collegi? Sorge il dubbio che ciò che interessa realmente e trasversalmente alla classe politica sia mantenere il controllo degli (e sugli) eletti, garantendo, con un meccanismo di cooptazione, che i leader dei partiti possano scegliere il seguito da portare in Parlamento, senza passare per la fastidiosa verifica del consenso popolare.

Liste bloccate e premio di maggioranza servono proprio a infilare fedelissimi. Insomma, una via obliqua per ottenere la stabilità, a danno della scelta dei cittadini-elettori e a pregiudizio del circuito della responsabilità politica elettori-eletti. Tanto più che i partiti, nonostante la Costituzione, non hanno un ordinamento interno di tipo democratico, sicché la selezione delle candidature avviene con modalità verticistiche e poco partecipate perfino nei confronti degli iscritti ai partiti. Questa tendenza manipolatoria della classe politica è una grave ipoteca sulla democraticità della Repubblica e si ripercuote a diversi livelli (perfino nelle Province, laddove il meccanismo permette un parziale tracciamento dei voti).

Invece di piangere sulla disaffezione dei cittadini e sul crescente astensionismo al voto, la classe politica dovrebbe preoccuparsi di incoraggiare la partecipazione, secondo il fondamento sul lavoro della Repubblica democratica, e di ristabilire credibilità e fiducia. Sempre che, appunto, a cuore stia la democrazia e non la conservazione di rendite economiche e di potere.

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