L’attacco a Israele di un Iran diviso

Dunque l’attacco missilistico che l’Iran ha portato contro Israele è fallito. E non poteva essere diversamente. Solo una parte dei missili iraniani erano balistici, e comunque anche questi impiegano dodici minuti a volare dall’Iran a Israele, un’eternità per i poderosi sistemi di difesa antiaerea dello Stato ebraico. In più, l’attacco era stato largamente annunciato. Fonti di non disprezzabile credibilità sostengono che siano stati gli stessi iraniani ad avvertire per via diplomatica.

E qualcosa dev’essere comunque successo se il New York Times ha potuto lanciare l’allarme ben dodici ore prima che gli ordigni iraniani prendessero il volo. E se esauritasi la prima massiccia salva di quasi 200 missili, le autorità israeliane hanno potuto dare senza esitazioni il “cessato pericolo” ai cittadini che avevano raggiunto i rifugi e riaprire lo spazio aereo.

Tutti questi fattori dovrebbero consigliare cautela nel valutare le ragioni della mossa iraniana. I portavoce dei Guardiani della Rivoluzione hanno rivendicato il proposito di vendicare l’uccisione in Libano di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, e di Abbas Nilforoushan, un ufficiale di altissimo rango della milizia iraniana, morto con lui. Ma che vendetta c’è in un attacco destinato a fallire? Sembrerebbe una ripetizione di quanto avvenuto la primavera scorsa, con l’attacco iraniano a base di droni (se questo era annunciato, quello era annunciatissimo: i droni iraniani impiegano nove ore a raggiungere Israele) e la risposta contenuta di Israele. Il problema è che da allora molto sangue è stato sparso e molte cose drammatiche sono successe. Benjamin Netanyahu, che sembrava in grande difficoltà, ha cavalcato prima la guerra a Gaza e poi quella contro Hezbollah in Libano.

Per Gaza, il massacro di 42mila palestinesi, gli ostaggi da salvare e non salvati e i soldati caduti, Netanyahu ha dovuto affrontare una quasi costante contestazione interna. Per la lotta contro Hezbollah il consenso è stato invece quasi unanime. Lui e il suo partito, il Likud, sono risaliti nei sondaggi e la sua maggioranza parlamentare si è rinforzata. Anche perché, dai cercapersone esplosivi all’eliminazione di Nasrallah, le operazioni dell’intelligence israeliana hanno avuto esiti molto favorevoli. Quindi, perché in una situazione come questa l’Iran ha deciso di sferrare un attacco di così prevedibilmente modesto impatto? È vero, gli ayatollah vedono che ogni colpo inferto a Hezbollah è un colpo inferto all’influenza di Teheran sul Medio Oriente, costruita in anni e anni di sforzi e a un alto prezzo in uomini e mezzi. Ma di nuovo: è tutto qui ciò che la Repubblica islamica può ordire contro il suo peggior nemico, il “piccolo Satana” appoggiato dal “grande Satana” americano?

Può anche darsi che il temutissimo apparato militare iraniano non sia in grado di produrre altro che questo. Ma sospettiamo che in Iran sia in atto uno scontro interno di cui non riusciamo a distinguere i contorni ma che potremmo così descrivere. La Guida Suprema del Paese, l’ayatollah Alì Khamenei, anche nel recente passato ha parlato molto spesso di «pazienza strategica», ovvero di una reazione a Israele da meditare e calibrare, senza farsi trascinare in un conflitto condotto alle condizioni dell’avversario. Anche il nuovo presidente, il riformista Masoud Pezeshkian, si è espresso più volte contro l’escalation militare e pochi giorni fa, all’Onu, addirittura chiedeva un «nuovo inizio» per i rapporti tra l’Iran e l’Occidente. Mentre si sa che i generali e le milizie pretendono da tempo di arrivare allo scontro con lo Stato ebraico.

Questo attacco “strano”, quindi, potrebbe essere il risultato di un compromesso tra i due schieramenti. Sì all’attacco, perché le milizie sono un bastione del potere degli ayatollah e non possono essere scontentate più di tanto. Facendo però in modo che i missili non abbiano un effetto devastante, per conservare margini di manovra e di trattativa. Un’ipotesi, certo. Ora non resta che attendere la rappresaglia di Israele, che certo non mancherà. Dalle sue dimensioni capiremo qualcosa in più. E vedremo se gli Usa riescono a frenare l’evidente voglia di Netanyahu di fare i conti anche con l’Iran.

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