Editoriali / Lecco città
Sabato 09 Agosto 2014
L’Aids a Lecco, emergenza
Ora colpisce i ventenni
In questi primi sette mesi del 2014, su venti nuovi sieropositivi al Manzoni, sei hanno meno di 25 anni. Il picco più alto mai registrato. Il profilo: di buona famiglia e non dediti alle droghe. La città nel panico
C’è un virus che si aggira indisturbato e colpisce soprattutto i giovani che ormai non ne hanno più paura, come invece i loro coetanei trent’anni fa all’inizio dell’epidemia. L’Ebola oggi ha scalzato l’Aids nell’alimentare le preoccupazioni della gente, eppure qui è da sindrome da immunodeficienza acquisita che ci si infetta. La guardia si abbassa e l’infezione si diffonde, subdola e infida.
Ne sanno qualcosa diverse famiglie lecchesi che hanno dovuto fare i conti con una drammatica realtà: ai malesseri dei figli, dopo tante indagini diagnostiche senza risultati, alla fine è stato dato un nome insospettabile. Un nome che risveglia terrori sopiti perché se oggi molto più di ieri si riesce a tenere a bada l’infezione allontanando lo spettro della morte, l’Aids rappresenta pur sempre un marchio pesante sul presente e sul futuro.
Ventenni, di buona famiglia, tutt’altro che dediti alle droghe. Questo il profilo dei soggetti a rischio e di coloro che si sono scoperti contagiati gettando madri, padri e nonni, sotto choc per la sorpresa, nel più nero sconforto.
Dal gennaio di quest’anno venti nuovi casi di infezione da Aids - in linea con gli anni scorsi - registrati all’ospedale Manzoni , dei quali però il 30% riguardano ragazzi sotto i 25 anni. Sei o sette casi, dunque, ma bisogna considerare che non tutti i lecchesi si rivolgono alla struttura ospedaliera cittadina, preferendo per ragioni di privacy sottoporsi a indagini diagnostiche e cure altrove. «Numeri - commenta il primario del reparto malattie infettive, Paolo Bonfanti - che possono sembrare tutto sommato non allarmanti e che invece sono molto significativi perché espressione di una tendenza che sta prendendo piede da una decina d’anni». Al punto che dal 2010, da quando Bonfanti è stato chiamato a dirigere il dipartimento lecchese, questo dato è il più alto registrato: un picco di infezione nei giovanissimi che giustifica la preoccupazione e interroga sulla necessità e sui modi più efficaci di correre ai ripari. Pena un aumento della malattia nella fascia di popolazione giovanile che ormai non ha più percezione del rischio che corre.
Il dottor Bonfanti conviene: «L’allarme è corretto»
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