LA TASSA (contestata) SUI PAPERONI DEL MONDO

Una tassa internazionale sui Paperoni del mondo. Quelli, per intenderci, che vanno in vacanza solcando gli oceani con megayacht da oltre 40 metri e che a casa cenano di fronte a un Picasso o un Tintoretto. Tutti multimiliardari che pagano imposte irrisorie rispetto ai propri patrimoni. A cui si potrebbe applicare una proficua “cedolare secca” del due per cento. L’idea è dello studioso della Scuola di Economia di Parigi Gabriel Zucman, il Robin Hood della situazione. La notizia è che molti Governi l’hanno presa sul serio, a cominciare dal Brasile di Lula che a luglio presiederà il prossimo G 20. La nona potenza mondiale sta lavorando per una dichiarazione comune, che sarebbe un notevole passo avanti.

Zucman ha già preparato un documento ufficiale su questa imposta che colpirebbe i 3 mila miliardari che contano nel Pianeta. L’economista francese fa anche due conti e calcola entrate per 250 miliardi di dollari l’anno. Una somma che potrebbe contribuire a finanziare la lotta alle diseguaglianze e al cambiamento climatico. Il minimo per correggere almeno in parte il disequilibrio tra gli abitanti della Terra, dove una ristretta élite possiede l’80 per cento delle risorse mondiali. E che paga in imposte solo lo 0,3 per cento del proprio patrimonio.

Questa imposta minima verrebbe a completare i due pilastri già varati di una fiscalità internazionale, ossia la tassazione dei giganti del digitale (le big tech come Amazon o Microsoft) e una tassazione minima del 15 per cento sui profitti delle multinazionali, entrata in vigore all’inizio dell’anno. L’internazionalità è l’unico espediente finora valido per tassare soggetti fiscali simili a una sorta di leviatano economico, essendo presenti ovunque e da nessuna parte, con una sede solitamente off shore, con poche tasse, enormi investimenti ed enormi ricavi.

Non sarà facile stabilire una patrimoniale internazionale sui super ricchi. Gli studi legali sono già sul piede di guerra, per non parlare delle lobbies. Come identificare e misurare la ricchezza dei miliardari? La metà di questa di solito risiede in azioni di società quotate in borsa, facili da valutare. Il problema è meno semplice quando si tratta di azioni di società non quotate in borsa. Perché il vero scandalo è che questi super ricchi grazie ai vari artifizi finanziari non pagano le tasse in proporzione al resto del mondo, come spiega Zucman.

Inoltre, la ricchezza di questi 3.000 miliardari, stimata in 14.400 miliardi di dollari dalla rivista Forbes, è cresciuta di circa il 7,1 per cento all’anno - al netto dell’inflazione - tra il 1987 e il 2024, molto più velocemente della ricchezza media della gente “normale” (tre per cento all’anno). Servono però prima accordi internazionali sulla giurisdizione fiscale. Per ora solo una manciata di Paesi, tra cui Spagna, Sudafrica, Germania, Belgio e Francia, ha dato il proprio sostegno alla proposta brasiliana. E il rinnovo dell’Assemblea Nazionale getta dubbi sulla posizione del prossimo governo di Parigi. L’ostacolo da rimuovere è la concorrenza fiscale tra gli Stati. C’è sempre chi se ne approfitta (come l’Olanda o l’Irlanda, paradisi fiscali per tante multinazionali).

Un altro grande ostacolo: gli Stati Uniti – patria del capitalismo - sono riluttanti. Il progetto non nasce ieri: aveva impiegato 15 anni prima di giungere nel 2021 a un accordo sancito dall’Ocse. Segno che in tema di fiscalità la pazienza è d’obbligo. Anche se in questi casi più passano gli anni più il leviatano accumula. E infatti i tempi sono biblici, o quasi. Il ministro dell’Economia francese Le Maire conta di arrivare a una imposta minima sui patrimoni entro il 2027. Un obiettivo ambizioso, se si considera che Parigi sostiene un approccio graduale. E dunque occorre altro tempo, non solo per convincere gli altri Stati. Mai come in questo caso il tempo è denaro.

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