La squadra di trump estremisti o inadeguati

Sarebbe un errore non prendere sul serio le promesse elettorali, spesso tonitruanti, di Donald Trump. Forse, quando si reinsedierà alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio, non riuscirà a tradurle in pratica tutte: ma certamente ci proverà. Le scelte che il presidente eletto va annunciando per la sua prossima Amministrazione e per la guida delle principali Agenzie statali sono la prova evidente dei due fattori che egli considera prioritari (forse con la sola eccezione del segretario di Stato, Marco Rubio): non la competenza, bensì la fedeltà personale assoluta al Capo e la convinta disponibilità ad attuare un programma di “retribution” (leggi: vendetta attraverso epurazioni e forse anche processi) nei confronti di chi nelle istituzioni americane si sarebbe macchiato della colpa di ostacolare l’ascesa politica di Donald Trump.

Quattro dei personaggi che Trump ha fin qui indicato spiccano per estremismo e inadeguatezza. Sembra quasi che siano stati scelti per provocare degli shock nell’establishment di Washington, o per minare alle radici le istituzioni che verrebbero destinati a dirigere. Il primo è Pete Hegseth, conduttore della televisione filotrumpiana Fox News che si è sempre distinto per incondizionato sostegno al prossimo presidente degli Stati Uniti. Il suo background militare (ha combattuto in Afghanistan e in Iraq con il grado di capitano) è degno di rispetto, ma certamente non gli consentirà di tener testa da Segretario alla Difesa ai pari grado russo o cinese, che hanno tutt’altra formazione. Ma questo importa poco a Trump: mettere il giovane Hegseth, un critico estremo della Nato, al di sopra di tutti i generali del Pentagono gli consentirà di imporre regole interne da “duro” e di procedere alla progressiva sostituzione dei vertici militari con uomini di provata fede isolazionista.

Il secondo è una donna, Tulsi Gabbard. Ex democratica riscopertasi trumpiana ortodossa, ammiratrice di Putin e ospite regolare della tv di propaganda del Cremlino RT, sprezzante nei confronti dell’Ucraina e del suo presidente Zelensky, disposta perfino a dubitare dello status di criminale conclamato del presidente siriano filorusso Bashar el-Assad. A questo personaggio dovrebbe essere affidata la guida dell’intelligence nazionale Usa: e qui svolgerà con l’entusiasmo tipico dei convertiti il suo compito di fare piazza pulita dei “nemici interni” di Trump.

Il terzo è Robert Kennedy junior. Pecora nera della celebre dinastia politica democratica, avvocato ambientalista con fama di complottista anti scientifico e noto attivista no-vax. A lui il presidente eletto vuole affidare il ministero della Sanità, come premio per il sostegno ricevutone a partire dallo scorso agosto, quando Kennedy ritirò la sua candidatura da indipendente alla Casa Bianca che secondo i sondaggi attirava un 5% di potenziali elettori. Il mondo medico e scientifico Usa è già nel panico.

Abbiamo lasciato per ultimo, anche se è il più preoccupante, Matt Gaetz. Perfino nel partito repubblicano questo estremista fanatico che Trump vuol piazzare alla guida del ministero della Giustizia, causa imbarazzo. Il suo ruolo sarà quello dell’epuratore, in concorrenza con quello del personaggio più incredibile degli “Hateful Eight” di tarantiniana memoria che compongono il nuovo potere di Washington: quell’Elon Musk che già si comporta come un vicepresidente (non eletto) con ruolo e poteri senza precedenti.

Trump e il suo vice JD Vance, Musk e il nuovo capo della Cia John Ratcliffe, Hegseth e Gabbard, Kennedy e Gaetz sono gli Hateful Eight (facciamo grazia di altri solo in apparenza minori). Le nomine degli ultimi quattro dovranno passare il vaglio del Senato Usa ed è qui che si coglie il senso dell’aperta provocazione in certe scelte di Donald Trump. Il futuro presidente vuole umiliare la già debole opposizione interna nel suo partito, che è riuscita a eleggere nella persona di John Thune un capogruppo al Senato non del tutto allineato: per bocciare (nell’interesse nazionale) estremisti incompetenti ma fedelissimi del Leader i senatori dovranno sfidarlo (rischiando il linciaggio da parte degli elettori che li hanno mandati a Washington) oppure piegarsi. E sarà proprio Thune a doverli sorvegliare. Anche questa è la nuova Grande America di Trump che rischia di farci presto rimpiangere quella a cui eravamo abituati.

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