Con la scomparsa di Paolo Pillitteri, sindaco di Milano dal 1986 al 1992, si chiude un’epoca a suo modo storica e che sarebbe utile cominciare a (ri)leggere in modo più distante e soprattutto circostanziato. Socialista, in origine socialdemocratico, cognato di Bettino Craxi (aveva sposato la sorella), Pillitteri è stato a suo modo uno dei simboli di quella «Milano da bere» sospesa tra modelle mozzafiato, giovani rampanti (i celebri yuppies), feste e cronaca nera. Emblematico il caso di Terry Broome, modella americana che uccise un rampollo della Milano-bene e scontò la sua pena nel carcere di Bergamo, uno dei (non pochi) casi dove il glamour scivolava nel sangue. Erano gli anni della rinascita milanese dopo quelli bui del terrorismo, di un Silvio Berlusconi all’assalto dell’etere con le sue reti private (Pillitteri celebrerà il suo matrimonio con Veronica Lario), di personaggi magistralmente descritti da Antonello Venditti ne «l’ottimista»: quello che «frequenta gli ambienti più strani, basta solo che siano mondani». Un ritratto perfetto di una (delle tante) Milano del secolo scorso.
Nella sua storia la città non ha mai avuto un sindaco democristiano, ma una lunga teoria di socialisti e socialdemocratici, come Greppi, Aniasi e Tognoli per citare i più noti. Il passaggio di Pillitteri e di un suo collega socialdemocratico al Psi nel 1975 di fatto sposta gli equilibri di Palazzo Marino in modo decisivo, mandando lo scudocrociato in minoranza. Schema riproposto poi con Tognoli e invece nuovamente allargato alla Dc proprio con l’elezione di Pillitteri a sindaco quando si riforma un pentapartito in salsa ambrosiana. Che ha comunque vita brevissima.
Sono gli anni che vedono i socialisti arrivare al 20% a Milano, con Craxi lanciato nell’agone politico, presidente del Consiglio dal 1983 al 1987, della celebre «piramide» al congresso nazionale Psi del 1989 a Milano, idea di quel Filippo Panseca scomparso due settimane fa. Per Pillitteri è la consacrazione di un percorso iniziato già nei primi anni ’70 come assessore alla Cultura e via via consolidatosi in parallelo all’ascesa nazionale del garofano e del cognato. Ma in realtà Pillitteri rappresenta in ugual modo due fasi fondamentali della Milano di quegli anni, quella edonista da bere e quella delle prime pulsioni autonomiste e giustizialiste che esplodono fragorosamente a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. La Lega bussa alle porte con sempre maggiore intensità e consenso, l’intreccio tra affari e politica comincia a essere svelato dalle prime inchieste di «Mani pulite» che colpiranno anche Pillitteri, condannato nel processo Aem - e poi riabilitato nel 2007 - ma assolto in altri tre.
È la fine della Prima Repubblica che a Milano arriva prima che altrove. Pillitteri e il suo successore Giampiero Borghini sono gli ultimi sindaci scelti senza elezione diretta: il primo sarà un leghista, Marco Formentini nel giugno 1993, il solo esponente che il Carroccio riuscirà a mandare a Palazzo Marino. E anche questo fatto dice molto su Milano e la complessità delle dinamiche politiche che ne hanno segnato la storia, sia prima che dopo Tangentopoli. Fino ai giorni nostri.
La scomparsa di Pillitteri è a suo modo un sipario che cade su un periodo complesso e controverso di quella che da sempre è la città più europea del Paese. Quella Milano che nel corso della sua storia ha sempre saputo ripartire e reinventarsi. I socialisti (termine che a tratti che ha assunto un’accezione negativa a prescindere, ma è da quel mondo che sono arrivati tanti galantuomini), Tangentopoli, Mani pulite, la Milano da bere, ma anche quelle ambizioni da capitale morale spesso sconfessate dai fatti: frammenti di una storia così vicina e allo stesso tempo lontana che è il caso di rimettere insieme. Kierkegaard diceva che «la vita va compresa all’indietro ma si vive in avanti», forse è il tempo di fare bene entrambe le cose.
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