I valori della resistenza, intesi come difesa della libertà e dell’indipendenza della patria occupata dai tedeschi, dovrebbero essere patrimonio della Nazione, condivisi da tutti e non considerati solo di una parte.
Certo, la liberazione dell’Italia si deve agli anglo-americani, assieme a soldati di molte nazionalità. Ma dopo l’8 settembre i tedeschi fecero prigioniero quasi tutto l’esercito italiano. Ottocentomila soldati italiani vennero internati nei lager in Germania e oltre seicentomila rifiutarono di combattere per i tedeschi. Molti militari che non si arresero morirono a Cefalonia oppure nel territorio nazionale salirono in montagna. Le prime bande partigiane furono formate da ufficiali degli alpini che erano stati in Russia. Altri non aderirono alla Repubblica Sociale e si unirono ai partigiani.
La guerra di liberazione fu anche una guerra civile e come in ogni guerra civile furono commesse atrocità da ambo le parti. Nella Resistenza italiana al nazifascismo si risvegliarono gli ideali politici a lungo soffocati dalla dittatura fascista e forze diverse si impegnarono a cooperare. Vi erano almeno tre posizioni diverse. Vi era un orientamento liberal-democratico, vi erano coloro che desideravano una radicale trasformazione in senso democratico e altri invece che pensavano a una trasformazione del Paese in senso socialista o comunista.
Nel 1944, però, il governo dell’Italia libera, che già combatteva come “cobelligerante” al fianco degli angloamericani, riconobbe, da Roma, il Comitato di liberazione nazionale dell’Italia come proprio legittimo rappresentante nell’Italia ancora occupata dai tedeschi. Inoltre il generale Raffaele Cadorna fu nominato a capo del Corpo volontari della libertà (cioè l’insieme delle formazioni partigiane) con Ferruccio Parri e Luigi Longo come vice. Perciò la Resistenza può essere considerata la matrice ideale e politica del regime liberal-democratico sancito nella vigente Costituzione italiana. Sono passati ottant’anni dal 25 aprile 1945, quando il Comitato di liberazione nazionale formato dai partiti antifascisti ordinò l’insurrezione generale nei territori ancora occupati dai nazifascisti. Il movimento partigiano assunse il senso politico di guerra patriottica per l’indipendenza italiana. Ferruccio Parri, azionista, responsabile militare del Comitato di Liberazione, futuro presidente del Consiglio, disse: “A noi prima di tutto interessava il carattere dichiarato e manifesto di insurrezione nazionale”. Tale valore autonomo consentì ad Alcide De Gasperi di rivendicare ai vincitori nel discorso di Parigi del 10 agosto 1946 la memoria dei “cinquantamila patrioti caduti nella lotta partigiana”.
Il movimento partigiano fu anche momento di rivendicazione di identità nazionale “pari nel sentire e nel volere a qualsiasi popolo della terra”, come disse Benedetto Croce. Ma in quel concetto di identità nazionale non vi erano né il sovranismo né il nazionalismo attuali, c’era l’idea di una sovranità pronta a limitarsi, come sancirà l’art. 11 della nostra Costituzione, “in condizioni di parità con gli altri Stati”, in “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”. Una sovranità condivisa come previsto nel progetto europeo. La Resistenza fu un fenomeno plurimo. Fu fatta da partigiani di ogni fede politica: comunisti, socialisti, azionisti, anarchici, ma anche da moderati, cattolici, liberali, monarchici. Non fu fatta solo dai partigiani, ma anche dai civili, dai contadini, dagli ebrei, dalle donne, dalle suore e dai sacerdoti, che protessero e nascosero i patrioti.
La resistenza fu fatta anche dai militari, dai soldati al fianco degli Alleati, dai prigionieri che rifiutarono di andare a Salò, dai carabinieri deportati a migliaia in Germania, dai poliziotti che presero le armi per difendere gli ebrei. Se essi non avessero scelto il campo avverso al nazifascismo, cioè la parte giusta, le condizioni dell’Italia del dopoguerra sarebbero state ben più dure. Per il loro sacrificio oggi abbiamo una Costituzione liberal-democratica, uno Stato di diritto e una Repubblica democratica fondata sulla sovranità popolare.
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