La luna di miele della Meloni con gli italiani è durata fin troppo. Era scontato che, al momento di passare dalle promesse alle scelte, si manifestassero delusioni e scontenti. Nemmeno troppi, a dire il vero, almeno a dar credito ai sondaggi. Il consenso resta intatto. Negli ultimi mesi è cambiato, caso mai, il “sentiment” dei media per non dire dei toni sempre più battaglieri dell’opposizione.
L’ha ringalluzzita una serie di incidenti in cui è incappato il circuito dei più stretti collaboratori della Meloni. Lo sparo sfuggito a Capodanno - a sua insaputa - all’onorevole Emanuele Pozzolo. L’arresto del treno per far scendere il ministro Lollobrigida. Il rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea Delmastro per rivelazione del segreto d’ufficio. Il rinvio a giudizio pencolante sulla testa della ministra Daniela Santanchè. Da ultimo, le dimissioni del ministro Gennaro San Giuliano per la sua “relazione pericolosa” con l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia.
Questi sfregi all’immagine della classe dirigente di Fratelli d’Italia, uniti alla prospettiva di fare l’en plein nelle imminenti elezioni regionali di Liguria, Emilia-Romagna e Abruzzo ha generato nel “campo largo” un’euforia da rivincita, al punto che ha suscitato la speranza che il governo non arrivi a fine legislatura. Non conta che la Meloni continui, anzi accresca la sua credibilità di premier né che possa vantarsi di indubbi successi, specie in campo internazionale. Ultimo, in ordine di tempo, la vicepresidenza nella commissione europea di Raffaele Fitto. Non conta nemmeno che il campo largo, più che largo, continui ad essere slabbrato (vedi la multicolore votazione del gruppo Pd al parlamento europeo sugli armamenti all’Ucraina), gettando un’ombra sulla sua credibilità come forza di governo.
Non saranno questi inciampi della classe dirigente governativa a far cadere la Meloni. Se fossimo nell’opposizione punteremmo piuttosto su un altro punto di debolezza dell’attuale maggioranza che si sta profilando. Due novità stanno minacciando i suoi equilibri interni: la resilienza di Forza Italia e il franamento del Terzo Polo. Con la scomparsa del Cavaliere, le previsioni di un collasso inevitabile della sua creatura sono state largamente smentite. Anzi, sembra che FI stia vivendo una nuova vita, forse non rigogliosa come ai tempi del Cavaliere, ma certamente non residuale. Il passaggio di Italia Viva a sinistra e la fuoriuscita da Azione di nomi pesanti come Mariastella Gelmini, Enrico Costa, Mara Carfagna, segnano il tramonto del tentativo di costruire un centro equidistante da destra e sinistra. Il beneficiario maggiore di questo vuoto di rappresentanza degli elettori - chiamiamoli alla Prezzolini - “apoti” (coloro che non se la bevono, gli scettici insomma in politica) sembra che sia molto più FI che non le ancora indefinibili forze centriste del campo largo.
Molti fattori ci indicano che la sua dirigenza stia prendendo coscienza di potersi emancipare dalla condizione di minorità sofferta fino ad oggi nei confronti dei due partner di maggioranza. Da soli Fd’I e Lega non vanno da nessuna parte, mentre gli azzurri sono già al centro di un corteggiamento del Pd. Più del suo presidente Tajani, sono Marina e Piersilvio Berlusconi a premere perché il partito prenda il largo dalla stretta di una coalizione che gli tarpa le ali. Ma è la stessa sua condizione acquisita di principale forza d’attrazione dei centristi a spingere FI a marcare le distanze dagli altri due soci del centrodestra.
L’esito per la Meloni può essere un danno, ma anche un’opportunità: potrebbe infatti allargare il perimetro della coalizione. Il centro sarà pure un fantasma, ma i voti centristi sono in perfetta salute. L’opposizione non può farseli scappare se vuole tornare a Palazzo Chigi. Non è puntando sugli inciampi dei ministri che può procurare serie difficoltà al governo, ma sulle eventuali tensioni politiche in atto tra centristi e destre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA