La Maternità surrogata e il compito delle legge

Figli di un dio minore. Finiranno così i bambini che nascono da maternità surrogata adesso che la legge italiana la ritiene un “reato universale”? Partiranno svantaggiati? Penso sia questa la più seria obiezione alla nuova norma approvata dal governo. Quando c’è di mezzo la vita di un neonato non ci si può fermare al lecito o illecito si deve partire dal bene del piccolo. Gli si devono offrire le migliori condizioni perché possa crescere sano e amato. Non si pensa certo di togliere alla coppia il bambino, nato da surrogata, per darlo in adozione ad altre persone. Sarebbe una grave violazione dell’essere umano oltre che contrario alla nostra Costituzione che protegge i più deboli.

Anche perché il bambino potrebbe avere il corredo biologico di uno o di entrambi i membri della coppia, oppure di nessuno nel caso della doppia eterologa. La legge 40/2004 non permettendo la maternità surrogata o detta anche “gestazione per altri”, afferma che la donna, che non lo ha portato in grembo e non lo ha partorito, non può essere riconosciuta come sua madre. Ma se vuole può intraprendere la via dell’adozione speciale, secondo le norme che regolano questo istituto.

Chi poi asserisce che non è reato e pertanto non può essere punita porta come motivazione il fatto che la madre surrogata può farlo con spirito altruistico. Un dono gratuito quindi. La questione è se rientra nel dono prestare l’utero e dare poi ad altri il figlio che nascerà. Di per sé possiamo dare o regalare oggetti che ci appartengono, ma le persone sono soggetti, non oggetti. Inoltre se una donna “altruista” volesse dare un figlio al padre biologico lo può fare, non riconoscendo il figlio, che verrà invece riconosciuto dal padre. Ma nessuno lo fa.

Perché? Perché la gestazione “per altri” prevede in ogni caso un contratto, anche tacito e un rimborso spese. Ciò che importa ai genitori acquirenti e alle agenzie è che la donna non cambi idea sulla cessione del figlio una volta che lo ha partorito. Si mette in scena una finzione per cui chi partorisce non è la “vera” madre, ma sopratutto le si negano i diritti relazionali con il figlio uscito dal suo grembo. Le madri su commissione vengono pagate per prestarsi a questo gioco. Indegno per una donna, aberrante per un bimbo.

Oltre allo stravolgimento del senso del generare, la logica reificante della maternità surrogata, appalta alla tecnologia anche il materno, motivo per cui le relazioni familiari sono sempre più frammentate e le esperienze fondamentali quali l’essere sposi, genitori e potersi riconoscere nella propria mamma e papà vengono sgretolate. Non si garantisce il diritto del nascituro di conoscere o comunque di vivere in prossimità della propria origine, a cui costitutivamente appartiene, mettendo a rischio il suo sviluppo identitario. Senza sapere “Da dove vengo?“diventa difficile rispondere alla domanda “Chi sono io?”. Per questi motivi non è la stessa cosa adottare un bambino che ha perso i genitori o è stato abbandonato, dal commissionarlo a una donna che poi è costretta, per denaro, a lasciarlo ad altri. Come avviene per la maternità surrogata retribuita o commerciale, dove l’utero della donna viene affittato e il bambino acquistato. Il compito delle leggi non è solo quello di prescrivere o proibire, ma sopratutto esprimere una visione della convivenza civile basata su dei valori condivisi, primi fra tutti la dignità e il rispetto della vita. Il corpo delle donne non può essere sfruttato e quello dei bambini va onorato. Nel denunciare e sanzionare questa pratica, non degna degli esseri umani, la legge italiana mostra chiarezza e coraggio di fronte al proliferare di un uso mercantile di ciò che dovrebbe essere custodito come bene prezioso: il legame con nostra madre, il legame con il dono della vita.

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