La guerra dei cercapersone, delle radio e in generale degli apparecchi che hanno componenti elettroniche, per chiamarla così, certifica che una fase del tutto nuova si è aperta nello scontro di lungo periodo tra Israele e il duo Iran-Hezbollah.
Osserviamo i colpi messi a segno dallo Stato ebraico negli ultimi tempi. Prima (31 luglio) ha assassinato Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, eliminato nel cuore di Teheran da una bomba piazzata nell’appartamento che lo ospitava. Poi (primi di settembre) ha condotto un’ardita operazione in Siria, dove un commando delle forze speciali ha raggiunto uno stabilimento segreto sotterraneo che produceva razzi di precisione per Hezbollah e lo ha fatto saltare. Infine, in questi ultimi giorni, l’esplosione degli apparati usati dai militanti di Hezbollah (e non solo da loro) in Libano. Il che significa o che è stata impiegata un’arma nuova e sconosciuta oppure che i servizi segreti dello Stato ebraico sono stati in grado di infiltrare le catene di rifornimento di Hezbollah, se non addirittura di vendere all’organizzazione gli apparecchi poi destinati a esplodere.
Non sono certo le uniche operazioni clamorose o le sole eliminazioni più o meno mirate realizzate dalle forze di sicurezza israeliane. Queste, però, sono accomunate da una caratteristica precisa: la straordinaria capacità di pianificare missioni complesse e di penetrare nel territorio e negli ambienti del nemico. Una capacità che né l’Iran né Hezbollah possono avvicinare, anche se fonti israeliane attribuiscono alle milizie libanesi, per esempio, diversi tentativi di attentare alla vita dell’ex ministro della Difesa Ya’alon. Una condizione che, non a caso, ha stordito gli avversari. L’Iran, che aveva giurato vendetta dopo l’uccisione di Haniyeh, è rimasto immobile. E non pare proprio che Hezbollah, i cui militanti si sono ritrovati piccoli ordigni esplosivi in tasca o nell’automobile, abbia le capacità per rispondere in maniera adeguata all’offesa, nonostante che Hashem Safieddine, capo del servizio esecutivo del movimento, annunci come da programma tremenda vendetta. Questa realtà induce a ulteriori considerazioni. Qualcosa vorrà pur dire se Israele con i servizi segreti riesce a colpire Hezbollah in casa sua (alla lettera) o Hanyeh in casa degli ayatollah mentre con l’esercito non riesce a catturare il nuovo capo di Hamas, Yahya Sinwar, nella Striscia di Gaza occupata da mesi e di giorno in giorno desertificata. È l’ulteriore dimostrazione che la strategia scelta da Benjamin Netanyahu come risposta ai massacri palestinesi del 7 ottobre 2023, e che ha provocato finora 41mila morti tra i civili, o era sbagliata fin dal principio o era basata sul semplice obiettivo di decimare gli abitanti di Gaza.
La seconda considerazione è questa. Viene facile pensare che queste ultime operazioni siano i prodromi di una guerra aperta in Libano contro Hezbollah, e infatti è ciò che quasi tutti temono e prevedono. Però, alla luce di quanto sta avvenendo, ha senso anche pensare il contrario. La capacità di intimidazione del nemico di queste operazioni mirate si è finora rivelata assai superiore a manovre che implicano l’impiego delle forze armate e una guerra aperta in territorio ostile, con le relative perdite di uomini, mezzi, quattrini e credibilità internazionale.
D’altra parte, almeno per quanto riguarda il Libano, Israele non può certo aver dimenticato l’esperienza del 2006, con la guerra frontale contro Hezbollah, la parziale invasione del Paese, oltre 12mila missioni di combattimento e, come risultato finale, il rafforzamento della milizia sciita filo-iraniana (anche e soprattutto in Libano) e la crisi della dirigenza militare israeliana, fino alle dimissioni del capo di stato maggiore Dan Halutz.
Com’è ovvio, il contenimento del conflitto è nelle speranze di tutti. Sarebbe impossibile scontrarsi con Hezbollah senza devastare almeno una parte del Libano, la cui popolazione è senza dubbio contraria a ogni ipotesi di guerra. Ma se Israele rinuncerà a un attacco frontale, molto sarà dovuto a queste ultime azioni di guerra ibrida. Che da un lato esaltano le capacità delle forze di sicurezza dello Stato ebraico e dall’altro condannano la miopia crudele della sua direzione politica.
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