La domanda su Trump che spacca la politica

La tempesta finanziaria che si è abbattuta sul pianeta ci pone davanti a un grande interrogativo: dobbiamo ritenere gli Usa di Donald Trump un alleato o un avversario?

Questa è la domanda che,come un fendente, sta spaccando l’Europa e la politica italiana che vede governo e opposizione divisi al proprio interno come non si era mai visto prima d’ora. Come molti temevano, l’arrivo di Trump rappresenta un problema per l’Unione europea nei cui confronti il presidente Usa ha sempre nutrito e ostentato un profondo disprezzo. I fatti stanno dimostrando che la visione del mondo del tycoon americano risulta strutturalmente incompatibile con i valori che l’Occidente continua a rappresentare, valori di cui la nostra Costituzione costituisce un mirabile compendio. Per Donald Trump, di contro, l’Europa resta un ignobile “parassita” che avrebbe costruito le proprie fortune sulla pelle del suo alleato.

In realtà, andrebbe ricordato all’ineffabile presidente Usa cosa fu BrettonWoods e i benefici che il suo paese trasse per 25 anni da un sistema monetario di cui, per spirito di gratitudine, tutti i paesi europei ne accettarono i costi senza battere ciglio (il dollaro era la sola valuta con cui era possibile acquistare oro). Non solo. Sarebbe utile, altresì, rammentargli le numerose crisi finanziarie innescatesi oltreoceano di cui l’Europa si è sempre accollata le conseguenze nefaste, comprese quelle del 2008 che misero a repentaglio la sopravvivenza dell’euro.La verità è che l’Alleanza atlantica ha rappresentato per decenni un’intesa che ha giovato a tutti i paesi aderenti per cui risulta grottesco, oggi, fingere di ignorare i reciproci vantaggi. Occorre ammettere che il contributo degli Stati Uniti al bilancio della Nato, pari al 22 per cento, rappresenta,indubbiamente, una quota rilevante rispetto all’apporto di ciascun paese membro dell’Ue. MaTrump finge di dimenticare i grandi profitti conseguiti dalle aziende americane grazie alla domanda europea di armamenti e di alta tecnologia. Pertanto, la guerra commerciale che il presidente Usa ha ingaggiato e, per ora sospeso, con l’Europa non ha alcun senso sul piano economico perché rischia di obbligare il Vecchio Continente a coltivare nuove partnership commerciali. Non sono pochi,infatti, coloro i quali caldeggiano la creazione di un nuovo asse con i “Brics” (Brasile, Russia, Cina,India, Sudafrica) i quali puntano notoriamente a creare un nuovo sistema monetario in grado di infliggere al dollaro il definitivo colpo di grazia.

La sensazione è che Trump rappresenti la metafora del declino americano a cui la parte più conservatrice dell’establishment Usa vorrebbe contrapporsi puntando a uno “splendido isolamento” in grado di rilanciare la manifattura interna e,contestualmente, contenere il debito pubblico. In proposito, andrebbe rammentato che gli Stati Uniti registrano un debito pubblico del 123,01% rispetto al Pil che risulta il quinto più alto del mondo. In verità, come raccontano i dati del Fmi, se si considera in miliardi di dollari il totale del debito pubblico sul pianeta, gli Usa hanno il primato con 35.293 miliardi di dollari, pari al 34,6% di tutto il debito mondiale. Donald Trump, pertanto, incarna tutte le ansie della società americana e,soprattutto, delle grandi élite finanziarie che hanno smesso di credere nella globalizzazione e nel mito della società aperta aderendo ad una strampalata visione neo-mercantilista che, in modo singolare, si compone di nazionalismo, di radicalismo, di xenofobia e di “tecnopopulismo”. Siamo nel vivo di un terremoto di cui ogni giorno i governi degli Stati temono l’arrivo di nuove scosse. In questo senso, le esternazioni di Trump e dell’allegra masnada di collaboratori rappresentano una sorta di sciame sismico che continua a confondere l’Occidente il quale non ha ancora capito se,come dicevamo all’esordio, gli Usa siano da considerare ancora nostri alleati. Per i sovranisti l o sono sicuramente, giusto perché Trump rappresenta la ghiotta occasione per un definitivo regolamento con l’Ue di cui si punta a carpire i denari del Pnrr per poi darle il benservito. I francesi lo hanno capito, i tedeschi anche: per entrambi, siamo i soliti italiani inaffidabili per i quali vale sempre il motto “Francia o Spagna, purché se magna”. Allora, ci sono tre italiani: uno europeista, un t rumpiano e un putiniano. Sembra l’inizio di una barzelletta ma, purtroppo, è tutto vero.

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