Si discute molto sulle cause della perdurante bassa crescita della nostra economia che non rende possibile un più sostenuto rientro dal debito pubblico le cui dimensioni (3.000 miliardi), mettono costantemente a rischio l’equilibrio dei nostri conti pubblici.
Autorevoli sociologi ed economisti sostengono che è l’assenza di meritocrazia a rappresentare il principale e più impervio ostacolo alla crescita. Per meritocrazia s’intende quel sistema di valori che porta a premiare le capacità dell’individuo, indipendentemente dalla sua “provenienza”, cioè dalla sua etnia, dalle appartenenze politiche, dall’essere uomo o donna, dalla sua condizione sociale. Il basso livello di riconoscimento e valorizzazione del merito oggi presente in molti contesti socio produttivi del nostro Paese continua drammaticamente a caratterizzare le scelte in ambito politico, amministrativo, istituzionale e, in qualche misura, anche nel mondo delle imprese.
Mentre nel secolo scorso le principali economie occidentali sono riuscite a evolvere da un’economia agricola a una industriale e post-industriale, con lo Stato che si sostituiva alla famiglia come creatore di opportunità, nel tempo la società italiana è stata sempre più preda di un diffuso clientelismo e di un familismo amorale, entrambi prosperati proprio per l’assenza di un contesto istituzionale credibile, in grado d’infondere fiducia nei cittadini. Tutto ciò ha enormemente ostacolato l’emergere di una classe dirigente che fosse in grado di creare opportunità per le numerose ed eterogenee fasce della nostra società.
A determinare questa situazione hanno concorso, da un lato le responsabilità che molte famiglie, in particolare quelle più abbienti, hanno avuto nell’offrire opportunità spesso immeritate ai propri figli nelle istituzioni, nelle professioni, nelle aziende, nelle università. Dall’altro, le responsabilità di uno Stato che ha consentito che questi comportamenti avessero ampio spazio in una società nella quale non è stato in grado di affermare la cultura del merito, dedicando più attenzione al tema della scuola, il cui compito primario dovrebbe essere proprio quello di far emergere la classe dirigente migliore e la più preparata, indipendentemente dal background di provenienza.
Ebbene, nel nostro Paese la scuola, soprattutto dopo i moti studenteschi del 1968, è divenuta sempre meno meritocratica e ciò l’ha resa in gran parte incapace di svolgere il proprio naturale ruolo di “ascensore sociale”. I governi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno fatto ben poco per invertire questa tendenza, costruendo un sistema scolastico nel quale la qualità dell’insegnamento rappresentasse la chiave per costruire uomini e professionisti preparati alla vita. Questa esigenza l’hanno compresa bene, da tempo, alcuni paesi occidentali come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Germania, i cui governi si sono resi conto che la sfida competitiva dei prossimi anni si gioca soprattutto potendo contare sulle capacità e sulle conoscenze del capitale intellettuale. Nel nostro Paese tale necessità è stata colpevolmente poco avvertita.
Nello stesso tempo, sono anche mancati interventi di politica economica in grado di creare le condizioni perché l’economia crescesse a ritmi più sostenuti. È mancata, ad esempio, un’organica riforma fiscale in grado di recuperare risorse per lo sviluppo. Una riforma che fosse orientata a una seria lotta all’evasione e a realizzare un’effettiva ed equa progressività delle imposte. Quest’ultima misura sarebbe stata fondamentale per contenere la pressione fiscale sulla produzione e sul lavoro e per consentire maggiori investimenti e alimentare i consumi. A maggior ragione, diviene ora più che mai urgente perseguire l’obiettivo di una crescita duratura della nostra economia, investendo sulla professionalità e le competenze delle persone. Ciò è possibile solo operando un’organica riforma della scuola, partendo dalla consapevolezza che il centro di una scuola di qualità è dato dalla qualità complessiva del corpo docente. Bisogna perciò creare le condizioni perché la professione d’insegnante, a tutti i livelli d’istruzione, rientri tra quelle più ambite (anche economicamente) e rispettate.
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