La borghesia italiana minuscola e “lampadata”

Riflessione a margine dell’editoriale di domenica 16 Giugno del nostro Direttore (“Quelle società senza borghesia”) che sembra lasciare sotto traccia un elemento che le ultime elezioni hanno ben evidenziato: il riposizionamento dei ceti produttivi, cioè, di quella borghesia composta da imprenditori e professionisti i quali, nei confronti del ceto politico, hanno sempre assunto un comportamento servile e compiacente.

In proposito risulta incontestabile la tesi di Montanelli: mentre la borghesia d’Oltralpe osteggiò pugnacemente l’aristocrazia per poi prenderne il posto come classe egemone, la borghesia italiana pensò bene di comprare il blasone per guadagnarsi una degna legittimazione sociale. Come dire: anziché assurgere al governo come interprete dell’interesse generale, la borghesia italiana ha storicamente preferito essere la stampella del potere in cambio di una comoda rendita di posizione.

Poiché non è possibile analizzare in questa sede le molteplici implicazioni di questa costante della storia patria, ci limiteremo a fare qualche piccola riflessione sulle contraddizioni di oggi che evocano, pari pari, quelle di ieri.

1) Risulta innegabile che la borghesia italiana, sempre severa e intransigente nei confronti della sinistra, ancora oggi tenda a mostrare una certa clemenza nei confronti della destra su talune vicende, diciamo, disdicevoli (malaffare, incompetenza, familismo). Parimenti, nel giudizio sui totalitarismi del Novecento, abbiamo sovente assistito a valutazioni incoerenti e improntate a invereconda doppiezza: in particolare, perché la borghesia italiana ha sempre nutrito un grande fervore anticomunista e, di contro, solo qualche fievole prurito antifascista? Ancora oggi, ad esempio, si finge di ignorare le gravi reticenze della destra sulle nequizie del fascismo o il saluto romano nelle piazze gremite dell’ineffabile Vannacci che viene considerato una simpatica canaglia. Eppure nei confronti di Berlinguer e della sinistra italiana non ci fu la stessa indulgenza.

2) Su Silvio Berlusconi la borghesia italiana ha fatto di peggio: si è cosparsa il capo di cenere garantendogli devota obbedienza fino alla fine. Ne avallò la sciagurata guerra in Iraq malgrado le clamorose menzogne sulla “democrazia da esportare” (Blair e Bush rischiarono l’impeachment per questo); ne avallò la prepotenza censoria contro la stampa (la cacciata dalla Rai di Enzo Biagi, di Michele Santoro, di Daniele Luttazzi, di Sabina Guzzanti); ne avallò l’uso strumentale delle questioni etiche (il Cavaliere, lui, strenuo difensore della famiglia e dei valori cattolici!). Senza dimenticare le Olgettine, Noemi, le cene eleganti, la “nipote di Mubarak” e tutto quell’immondo mercimonio che, per alcuni lustri, ci ha reso ridicoli nel mondo con la complicità di quella borghesia che sorrideva con tartufesca ammirazione.

3) Sulla nozione di legalità, la nostra borghesia suole mostrare il meglio si sé. Invoca rigore solo contro gli immigrati. Nell’immaginario collettivo i bilanci falsificati dalle imprese italiane sono una banale ovvietà. Due anni fa, nelle nostre carceri, i detenuti per reati finanziari erano 221: in Germania, 8.840.

Ma c’è altro, se vogliamo. La nostra borghesia, ad esempio, non mostra alcuno sdegno per il dissesto della sanità pubblica tanto ha i denari per rivolgersi a quella privata. Parimenti, non si indigna davanti al declino della scuola pubblica tanto i suoi figli, se bravi, studieranno all’estero, se somari, compreranno la laurea in qualche università on line. Potremmo continuare all’infinito in questo florilegio di prodezze di una classe sociale molto perbenista ma poco per bene che rispecchia fedelmente un certo modo di essere italiani: “italiani, brava gente”, come recita il titolo di un vecchio film. Concordiamo con il direttore Minonzio: alla borghesia italiana manca la consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo nella storia. Siamo e continuiamo ad essere un paese diviso e arrabbiato. Servirebbe un minimo di coesione sociale, di spirito comunitario e di fiducia reciproca. Per questo avremmo bisogno di una borghesia moderna, cosmopolita e solidale: come si diceva una volta, di una borghesia “illuminata”. Invece, guardandoci intorno, qua e là scorgiamo solo brandelli di una piccola, minuscola borghesia “lampadata”.

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