La bimba salva in mare e l’Europa che ha paura

Chi salva una vita salva il mondo intero, è scritto nella Bibbia e nel Talmud. Una verità attualissima, in un’epoca di grande progresso tecnologico ma di inquietante, contraddittorio regresso di umanità, annientata nelle guerre, ma anche dalla diffusione di violenze nei rapporti personali.

Eppure la vita trionfa sul male sempre, generandosi. Una bambina di 11 anni, Yasmine, originaria della Sierra Leone, è stata salvata nel canale di Sicilia dal veliero di un’Ong (organizzazione non governativa) tedesca. La barca di metallo sulla quale viaggiava era partita da Sfax, in Tunisia, ed è affondata domenica scorsa. La piccola è l’unica sopravvissuta dell’ennesimo naufragio nel Mediterraneo, causato da una tempesta: 45 le persone disperse, fra le quali il fratello di Yasmine che è rimasta a galla per tre giorni grazie a due camere d’aria. Gli operatori umanitari l’hanno individuata fra le onde dopo aver sentito le sue grida in acqua, portata a bordo e accompagnata a Lampedusa.

Nel “Mare Nostrum” fra il 2014 e il 2023 sono morti 30mila fuggiaschi (secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni) da guerre, persecuzioni e fame, come riporta il sito del ministero dell’Interno, lo stesso ministero che con il decreto Cutro ha approvato norme che intralciano le operazioni di salvataggio da parte delle navi umanitarie. Il numero dei decessi nel 2024 è in aumento, attestandosi sui livelli del 2019-2021: alla fine dello scorso agosto la stima (minima) è di 1.342. Queste tragedie non fanno notizia, tranne i casi di naufragi singoli con decine di vittime, perché da una buona parte dell’opinione pubblica e quindi dalla politica considerate cinicamente come una sorta di “danno collaterale” da mettere in conto, quando non in capo a chi sfida il mare alla ricerca di una vita migliore. Non fanno notizia nemmeno i quotidiani salvataggi, tanto più se avvengono grazie all’azione coraggiosa delle organizzazioni non governative che hanno subìto perfino l’onta di “collaborazionismo con gli scafisti”, accusa smontata in almeno una ventina di processi giudiziari.

Per altro le Ong operano per coprire un vuoto, in assenza di una missione europea di salvataggio e per via della latitanza degli Stati costieri che non vogliono assumersi l’onere dell’accoglienza.

Eppure, quella che in Italia da oltre 30 anni viene ancora chiamata “emergenza immigrazione”, è ormai un fenomeno strutturale che andrebbe regolato con leggi umane che tengano conto della realtà, aprendo canali regolari per chi scappa da guerre e violenze e allargando le maglie per chi cerca lavoro (per Confindustria 140mila persone all’anno per rispondere alle esigenze di manodopera delle imprese). Secondo i dati della Fondazione Migrantes, nel 2024 gli sbarchi in Italia sono diminuiti di oltre la metà rispetto al 2023 e i rimpatri aumentati del 15%, mentre sono cresciuti del 62% i dinieghi all’asilo e alla protezione umanitaria. Non c’è quindi un’emergenza, semmai è a rischio il diritto d’asilo. I 27 Stati dell’Unione europea hanno mancato l’obiettivo di garantire l’accoglienza di 16mila domande l’anno scorso, ferme invece a 14mila.

Il rapporto dell’organismo della Conferenza episcopale italiana ricorda poi che già da anni la Siria è il principale Paese d’origine di chi cerca rifugio nell’Ue: solo nel 2023 circa 183mila richieste. In Italia quella siriana è la seconda nazionalità di provenienza di chi arriva attraverso la rotta mediterranea, a conferma che lo Stato mediorientale non era in pace, come hanno evidenziato le notizie giunte in questi giorni da Damasco. L’Europa si è detta preoccupata per le possibili, imprevedibili conseguenze del colpo di Stato che ha disarcionato la tirannia di Bashar al-Assad e portato al potere i ribelli jihadisti, animati da dichiarate intenzioni non vendicative e non repressive che andranno verificate alla prova dei fatti. Ma intanto i Paesi europei sono mossi da un’urgenza: accelerare la sospensione delle domande di asilo per i siriani. Una palese contraddizione. Infatti l’Ue consiglia prudenza: i progetti di espulsioni forzate andrebbero incontro a ricorsi e gli incentivi per i rimpatri volontari rischiano di rivelarsi controproducenti. Governare le migrazioni guidati dalla paura e dalla ricerca del consenso non produce solo ingiustizia ma anche caos. Chi salva una vita salva il mondo intero: quanto l’Europa avrebbe bisogno di ritrovare i suoi valori fondativi...

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