Editoriali / Oggiono e Brianza
Giovedì 24 Ottobre 2013
Joele morto per quello
che da noi non c’è più
JoelE morto e ciò
che da noi non c’è più
Un ragazzo italiano in Inghilterra per studiare la lingua e lavorare, aggredito e ucciso da un gruppo di altri immigrati che lo accusano di rubare loro il lavoro. Restano ancora tanti punti oscuri, ma potrebbe essere questo il movente che domenica sera ha originato questo assurdo atto di violenza a Maidstone, nel Kent, a 38 km da Londra. Joele Leotta, 19 anni,, era arrivato nella capitale inglese con l’amico Alex 15 giorni fa. Un ragazzo normalissimo, che abitava a Nibionno, nel Lecchese, che dopo essere stato promosso alla maturità, aveva realizzato il suo desiderio, che è il desiderio di tanti giovani oggi: andar all’estero nella convinzione che l’Italia sia un paese immobile e che solo andando lontano si possano trovare opportunità. Emblematico il primo bilancio affidato alla pagina di Facebook: «Sono in Inghilterra, sto cercando di sistemarmi qui. Ho trovato lavoro in un ristorante italiano, con origini napoletane, e ora sto imparando a fare il cameriere, davvero tutto perfetto».
«Davvero tutto perfetto»: bisogna partire da questa affermazione, che suona in modo tanto stridente rispetto a come sono andate poi le cose, per rendersi conto di quello che sta montando nella testa di tanti ragazzi. Il “tutto perfetto” sarebbe un lavoro in una pizzeria napoletana a 38 km da Londra, intercettato tramite un annuncio su un giornale; sarebbe una cameretta condivisa nella stessa palazzina; sarebbe trovarsi a vivere in una cittadina dove paradossalmente tanti coetanei il lavoro non lo trovano, dove le frustrazioni di una vita senza prospettive viene affogata nella birra. Una città dove i giovani vivono una sorta di randagismo esistenziale. Come può essere “tutto perfetto” un contesto così? Eppure nel cuore e nella testa di Joele c’era la soddisfazione per aver fatto il salto, per avere trovato un lavoro, e di averlo trovato da altri italiani che lontani dall’Italia i posti di lavoro riescono a crearli. «I proprietari del ristorante sono bravissime persone», ha detto ieri ai giornalisti il fratello dell’amico Alex, sopravvissuto alla brutale aggressione.
La polizia inglese, che ha reso noto il fatto con incredibile ritardo, ora allontana l’ipotesi di un delitto a sfondo razziale: dei nove fermati uno solo era inglese, gli altri in gran parte lituani. Ci sarà quindi da attendere lo sviluppo delle indagini per capire il vero movente di un fatto tanto violento. Gioele, dicono amici e genitori non era rissoso e non era tipo da mettersi nei guai. Quindi quel “tutto perfetto” sulla bacheca di Facebook fa capire come ciò che è accaduto sia con ogni probabilità un qualcosa di non prevedibile, di improvviso: un’esplosione di odio cieco e irrazionale, a quanto pare legata proprio alla questione del lavoro.
Quale che sia la verità, la questione del lavoro resta sempre al centro. Joele lo cercava e lo voleva, per conquistarsi un’indipendenza, per provare la sensazione di avere una vita dura ma possibile davanti. Voleva sottrarsi al rito degli inutili curriculum che finiscono nelle caselle mail come fossero cassette della spazzatura. Al rito delle vaghe promesse, dei lavoretti stentati pagati una miseria. Voleva un “qualcosa” che pur nella sua durezza avesse le caratteristiche di un lavoro vero. E questo “qualcosa” per un ragazzo di 19 anni oggi in Italia è un orizzonte proibito. Poi lassù nella libera Inghilterra, Joele tragicamente ha trovato ben altro. Ha trovato, forse, persone bestialmente invidiose di quello che lui aveva tra le mani e loro no. Perché neanche l’Inghilterra è quel piccolo paradiso sognato. Ma se dobbiamo onestamente leggere la storia di Joele, dobbiamo chiederci perché un ragazzo di 19 anni, oggi quel “tutto perfetto” escluda di trovarlo in Italia e preferisca andarlo a cercare in una cittadina abbastanza squallida a 38 chilometri da Londra.
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