Il dato singolare della competizione elettorale in corso è rappresentato dalla irrefrenabile tentazione delle forze politiche a utilizzare il proscenio europeo per finalità prosaicamente “domestiche”.
A parte questa specificità tutta italiana, il dibattito sull’Europa, già di per sé loffio, risulta inficiato da una spiccata connotazione ideologica che serve solo a creare confusione. Sarebbe, pertanto, opportuno fare chiarezza spiegando al cittadino che l’integrazione europea costituisce un processo imposto dalla necessità di difendersi dalle insidie dell’economia globale. Solo ammettendo questo, sarà possibile evitare di sovrapporre due temi che, seppur intrecciati, restano distinti. Non si dovrebbe mai dimenticare, infatti, che Europa e globalizzazione costituiscono due entità “ontologicamente” differenti: non solo, la prima è il portato della seconda. L’Ue, infatti, è stata concepita come una mera organizzazione politica, dunque come peculiare tipologia di “governance”; di contro, la globalizzazione rappresenta un processo scaturito dalle crescenti interdipendenze tra economie di paesi diversi.
Tenendo bene a mente questa distinzione, si può capire perché non può essere imputato alla costruzione europea e alla moneta unica l’impoverimento dei ceti medi che, in verità, è da ricondurre alla competizione globale derivante dall’ingresso di nazioni un tempo escluse dal libero mercato (si pensi ai Brics: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). La vera colpa dell’Europa, pertanto, è di avere sottovalutato gli effetti dell’ondata recessiva provocata dalla globalizzazione per arginare la quale è stata adottata una politica che ha ulteriormente impoverito il cittadino persuadendolo che l’Europa non fosse un traguardo ma una iattura.
A causa dell’austerità imposta dalla tecnocrazia di Bruxelles, sull’Europa ha ripreso a soffiare un vento populista che, oltre a indebolire i governi nazionali, ha finito per rallentare il processo di integrazione in altri settori. Senza l’avvento di Mario Draghi alla guida della Bce, probabilmente da tempo avremmo celebrato le esequie dell’Unione europea e della moneta unica. Dopo anni di infelici restrizioni di matrice neo liberista, Draghi ha ridato fiato all’economia degli Stati attraverso il “quantitative easing” che ha reso possibile una riduzione dei tassi di cui hanno ampiamente beneficiato famiglie e imprese. Il cittadino, pertanto, non deve dimenticare che il vero “nemico” non è l’Europa ma il capitalismo finanziario, sorta di tigre famelica che continua a utilizzare la globalizzazione per “pascolare” impunemente in un mercato senza regole.
Per tali ragioni, risulta necessario rinforzare le istituzioni europee, quindi, emendare e ridefinire le regole poste a fondamento di un’architettura troppo esposta agli interessi di lobby e di potentati incuranti dei bisogni dei cittadini. Oggi possiamo dire con certezza che la moneta unica, da sola, non è in grado di disciplinare gli spiriti animali di una globalizzazione che continua a generare povertà. L’emergenza sanitaria e il conflitto ucraino rappresentano l’ulteriore dimostrazione che, senza l’Unione europea, le sorti del Vecchio Continente sarebbero segnate.
In un momento storico caratterizzato dall’esplosione di contraddizioni che il vecchio ordine mondiale non è in grado di governare, l’Europa ha l’obbligo di assumere il ruolo di protagonista e non di comprimario o, peggio, di vassallo degli Usa, o di Putin, degli Arabi o dei Cinesi.
Per questo motivo servirebbe rilanciare nell’opinione pubblica l’ideale europeista e, in quest’ottica, ridare impulso al processo di integrazione con l’obiettivo di un fisco e di un esercito europei. Come diceva Gianni Agnelli, “per essere italiani nel mondo, dobbiamo essere europei in Italia”.
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